Libro d’arte Quaderni del roseto con sette poesie inedite di Conte, Lamarque, Morasso, Nessi, Pusterla, Rondoni, Serragnoli; un’acquaforte originale a due lastre di Luciano Ragozzino; introduzione di A. Carrabs; nota di E. Motta. L’edizione è stata stampata a mano con caratteri Garamond su carta Magnani con i torchi dell’ex gelateria di via Guinzelli 14 per i tipi de Il Ragazzo innocuo in 50 esemplari numerati e firmati.
Introduzione di Antonetta Carrabs
Rosa
o tu per eccellenza cosa già compiuta
che si contiene all’infinito
e all’infinito si diffonde …
La prima edizione de Quaderni del Roseto è dedicata alla Bella di Monza (Modoetiensis Villoresi). Un esemplare di rosa antica, dal fiore aperto, con la presenza di spine e l’andamento quasi disorganizzato del cespuglio. Originaria della Cina, venne introdotta in Europa e portò alle rose il colore arancio-rossastro, fino ad allora sconosciuto. Creata, all’inizio del XIX secolo, da Luigi Villoresi, primo ibridatore di rose in Italia, responsabile, dal 1802 al 1823, dei giardini e del parco della Villa Reale di Monza. Lo spazio antistante la Villa Reale, anticamente destinato alla coltivazione degli agrumi, accoglie uno dei roseti più affascinanti al mondo. Un autentico angolo di paradiso dal tepore velato, aureo, che si colora del profumo inebriante e, a tratti struggente, delle rose antiche, con la loro incomparabile varietà di forme, di sfumature e di fragranze. Il roseto della Villa Reale di Monza fu creato per volontà di Niso Fumagalli, industriale e presidente della Candy, appassionato di floricoltura e di rose. Nel 1964 l’ingegnere fondò a Monza l’Associazione Italiana della Rosa: il primo concorso nel 1965. Sono oltre 4.000 le varietà di rose create dai rosaisti, provenienti dai vivai di tutto il mondo e sottoposte a severo giudizio di esperti internazionali.
Le rose, piccole Afroditi decantate dai poeti! Delicate, dai colori pastello, dal profumo intenso, con il fogliame lucente o opaco, dai margini dentati, dal verde più o meno scuro, o glauco. Rose con incredibili sfumature rossastre, rose dal fusto con gli aculei, solitarie in infiorescenze a corimbo. Rose dalla diversità di portamento, di altezza, di fogliame e di forme. La rosa è il fiore, la rosa è la florealità. Catullo la chiama semplicemente flos: ut flos in saeptis secretis nascitur hortis /ignotus pecori, nullo convolsus aratro /quem mulcent aurae, firmat sol, educat imber, / multi illum pueri, multae optavere puellae..
Il libro d’arte Quaderni del roseto è stato realizzato in occasione della giornata dedicata alla Rosa Chinensis (Bella di Monza) e presentato alla Villa Reale di Monza il giorno 21 di maggio 2017.
Nota critica di Elisabetta Motta
«Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è nella sua essenza, un rosa» – scriveva Caproni nei suoi versi. In questo primo numero de Quaderni del Roseto sette poeti, trascurando il suo ammonimento, concorrono con i loro versi a creare uno splendido florilegio al cospetto di un interrogativo: qual è la verità della rosa? Del resto la poesia non è filosofia e quando come in questo caso è autentica, può anche permettersi di girare al largo dall’essenza, per dare corpo a una (o, anzi, a sette) verità.
Gioca sulla simbologia del numero sette Giuseppe Conte, offrendoci la sua rosa color vermiglio scuro, fiorita il venerdì santo del Settantasette. Il sette è un numero che ben esprime la ricerca spirituale e carnale che ha accompagnato in tanti anni il poeta: esso congiunge in sé il ternario divino e il quaternario terrestre, conciliando natura divina e umana, simbolo di perfezione ma anche di cambiamento.
«Ma tu di che ramo / di che rosaio sei? e ce l’hai a maggio / un innamorato spinoso e profumato?» chiede la Rosa Lamarque alla stupita poetessa, avvertendone la stessa natura e il comune desiderio di «fiorire» incontro all’amato, tra roseti veri, dolci e odorosi, colorati e spinosi.
«Ma una rosa è una rosa / e vuole essere rosa. Rosa / e basta.» scrive Massimo Morasso, traendo ispirazione per i suoi versi dal celebre epitaffio di Edith Stein (a rose is a rose is a rose). E certo non basta far vendemmia di tutte le rose della memoria per «trovare il movimento / per cui dalla parola rosa balzi fuori l’anima», occorre scavare, come per la poesia, dentro l’anima.
Ad alimentare il già ricco patrimonio simbolico legato a questo fiore contribuisce la Rosa canina di Alberto Nessi, dotata di soli quattro petali, uno per ogni lettera di cui si compone la parola rosa. Essa assume le movenze di una ballerina che s’agita quietamente sulle punte, mentre tende le sue dita inanellate«alla luce più mite di settembre».
«Quali cieli si specchiano / nel chiuso lago / di queste aperte rose» si chiede Fabio Pusterla riprendendo i celebri versi di Rilke, per poi subito precisare «Ma non poi così aperte / queste rose serali, / non poi così / spensierate». Presenze mute ed enigmatiche, le «misteriose / rose del vecchio giovane tamil» si colorano di rosso sangue, divengono «rose senza pace», veicoli di una torsione in senso civile del pensiero.
Si colora di rosso la rosa nei versi di Davide Rondoni, simbolo di passione e resistenza. Il desiderio di accogliere in sé il mondo, facendosi custode e giardiniere, si fonde con un senso di finitezza acuito dallo scontro fra la bellezza assoluta e vertiginosa della rosa da un lato e il suo disfacimento dall’altro. L’invocazione finale del poeta è che essa condivida con lui ciò che non gli appartiene: «la vita, piccola immensa cosa che non è mia».
Nel testo di Francesca Serragnoli la rosa si fa depositaria di un segreto che non si svela. Nel tempo blu, carico di attesa e desiderio della «quasi notte», nell’ora «che la rosa conosce», essa si fa muta testimone di un dramma nel suo compiersi: lo scontro fra la possibilità della gioia e la sua mancata realizzazione («una gioia sfatta di spavento»), che genera lacrime e delusione, ma dà vita ad un dialogo ininterrotto.
— Elisabetta Motta