La Casa della Poesia di Monza, con il progetto Mirabello Cultura, alla sua terza edizione, ospita in Villa Mirabello, nel cuore del parco reale di Monza, poeti, scrittori e musicisti. Il 9 aprile è stata la volta del poeta genovese Francesco Macciò, con il suo reading.

In antico era tradizione che i poeti si accompagnassero con la musica e lui si è inventato nuovi strani strumenti: è il poeta con la cetra. Così è stato definito dai monzesi. Nella sua poetica tutta la tradizione ligure delle erbe murali, dei venti improvvisi, dello sciaguattare marino.

Ed è in quell’occasione che abbiamo incontrato il clochard poeta.
Ricordate la leggenda del re pescatore? Il Perceval, il giovane cavaliere, attratto dalla cavalleria, che un giorno intraprende un lungo viaggio nel mondo e decide di recarsi presso la corte di re Artù? E, come il Perceval, il nostro poeta del parco, attratto dalla poesia, decide di recarsi in un luogo dedito alle lettere e alle arti, alla ricerca forse del suo Graal. È arrivato chiedendo: è qui che si fa poesia?
Si è seduto in prima fila, fra una fila di sedie ancora vuote, con le sue tante borse piene di oggetti. Aveva con sé piccole bottiglie d’acqua, qualche lembo di stoffa, un involucro di fogli bianchi. Nella stanza poche persone in attesa.
Si alza e mi consegna un foglio. Mi dice di averlo portato per noi. Mi accorgo di lui. È vestito con abiti molto pesanti, un cappotto grigio sui pantaloni scuri, le scarpe consumate dal tanto camminare. Mi abbozza un sorriso senza denti su quel viso scarno incorniciato da un paio di grossi occhiali da vista…
Leggo tutto d’un fiato. Mi emoziono. Chiedo a Giulia di leggere per tutti, ad alta voce. Il poeta Macciò si ferma ad ascoltare. Tutti noi restiamo in silenzio ad ascoltare Giulia che legge la sua storia. Il poeta del parco è seduto in prima fila ad ascoltare. In silenzio.
C’erano due gocce d’acqua del tutto identiche, così simili che non si distingueva quale fosse la più giovane e quale la più vecchia. Andavano sempre assieme, mano nella mano, e sognavano di essere sempre unite che nessuno le aveva mai separate.
Il fiume le portava al mare poi erano nelle nuvole o cadevano nella pioggia è la legge del mare che dice di prestare aiuto a qualunque nostro simile in balia della forza della natura, era la regola per loro; del pari la legge della montagna impone a ciascuno di noi di aiutare altri quando siano bisognosi di aiuto. Un giorno una di loro anziché raggiungere il fiume scivolando fra i fili d’erba, inciampò e cadde su una roccia scura riscaldata dal sole, ed evaporò.
La sua simile si addolorò per la separazione, sbagliò strada e finì in una dolina e scese in un freddo torrente sotterraneo. Si fermò fra i ghiacci e rabbrividì per lunghi giorni, per un’intera stagione.
Tempo dopo, le due gocce che continuavano a chiamarsi udirono una la voce dell’altra e subito si misero in movimento per vedersi di nuovo e si ricongiunsero nel mare. Felici di essere ancora insieme sublimarono nel cielo, nella luce di un caldo sole che illumina gli uomini e ricorda loro che nessuno, nel pericolo, deve essere solo.

Nell’aria raccolgo l’emozione di tutti. Parte un applauso. Il poeta del parco non si scompone. Rimane seduto sempre al suo posto, in attesa. La sala si riempie quasi all’improvviso. Nella stanza arriva il tepore di un caldo pomeriggio di sole. L’odore dell’erba e dei prati è a tratti intenso. Alla fine lo cerco fra la gente, ma non lo trovo. È andato via in punta di pedi, così come era arrivato, con le sue tante borse e il casco azzurro da ciclista.
Lo ritrovo ieri, per caso, davanti allo stand della scuola di Agraria di Monza, durante l’iniziativa ANCIperEXPO. È in bicicletta. Raccoglie parole e non cibo. Tira su dal banco un libro rosso, lo guarda e lo infila in una delle sue tante borse. È il clochard del parco, mi dicono quelli della Scuola di Agraria.

È bello sapere che nel parco di Monza vive un clochard che ama la poesia.
Potete incontrarlo seduto sulla panchina, vicino alla fontanella dove va spesso a lavarsi. Lo riconoscerete perché porta spesso un casco azzurro.
È il clochard del parco di Monza che ama la poesia.