MIRABELLO CULTURA
RASSEGNA CULTURALE XI edizione 2022
a cura di Antonetta Carrabs Elisabetta Motta Iride Enza Funari
IN RICORDO DI FRANCO LOI
Sabato 2 aprile ore 18.30
Reggia di Monza. Primo Piano Nobile-Sala degli specchi
Franco Loi- Teatrino della Villa Reale di Monza- 21 marzo 2016
Intervengono:
• Maurizio Cucchi
• Davide Ferrari
• Massimiliano Mandorlo
• Piero Marelli
• Marco Pelliccioli
Introduce Antonetta Carrabs
Modera Elisabetta Motta
Prenotazione obbligatoria: pro.monza@tiscali.it
Ingresso consentito con Green Pass e mascherina FFP2
Articolo di Elisabetta Motta
Ad un anno dalla sua scomparsa (Genova 1930 – Milano 2021) La Casa della Poesia di Monza vuole rendere omaggio a Franco Loi, una delle voci dialettali più rappresentative del panorama poetico contemporaneo. Insieme agli ospiti Maurizio Cucchi, Davide Ferrari, Piero Marelli, Marco Pelliccioli, Massimiliano Mandorlo verrà dato spazio ad altri poeti amici e a tutte le persone che vorranno intervenire ricordando attraverso qualche aneddoto il valore della sua testimonianza, la bellezza della sua poesia e il dono prezioso della sua amicizia. Sì, perché Franco Loi era presente dentro la vita di tante persone e di tanti giovani che hanno visto in lui non solo un maestro di scrittura, ma di umanità.
La sua poesia colpisce fin dalla prima lettura per la sintesi originale di saggezza e spirito d’avventura, per la sua capacità di dischiudere spiragli di verità e bellezza, per l’originalità della sua lingua, che è un impasto linguistico di dialetto milanese, genovese, colornese, lessici e gerghi antichi e moderni. Una lingua legata alla sua città, Milano, al parlato nutrito d’esperienza, alle tante persone, immigrati, operari, gente comune che incontrava ogni giorno, restituita con una grande forza espressiva ma anche con una virtualità liricamente delicata.
Abitando da giovane a poche centinaia di metri da piazzale Loreto, a soli quattordici anni assiste all’eccidio degli operai e all’esposizione dei corpi dei gerarchi fascisti. Di conseguenza la storia come esperienza entra inevitabilmente a far parte dei suoi scritti così come il tema della giustizia e del Male, ma se nei primi lavori è presente una spiccata vena civile, nelle successive raccolte, pubblicate a partire dagli anni Ottanta, si nota un’apertura lirico-metafisica, sempre più tendente a una meditazione mistica e religiosa. Penso che, ad oggi, possa valere ancora quanto ha scritto Daniele Piccini nel saggio a lui dedicato in La poesia italiana dal 1960 ad oggi (Bur, 2005), nel quale afferma che Loi resta nella varietà e nell’estensione delle sue diverse esperienze letterarie «un cercatore della grazia umana». Aggiunge il critico: «Nell’amore, che è anche amore per le cose, si verifica e compie tutto l’appassionato avvicinamento del poeta alla realtà, si verifica la sua fiducia nell’umano e nella grana misteriosa dell’essere, che corrisponde ad un sentimento morale e religioso dello stare al mondo». Il suo pathos si avverte non solo nell’adesione amorosa al reale, ma anche nel suo stile ricco di interiezioni, nell’interlocuzione diretta alle cose, ai luoghi, nel suo procedere «per moduli non lineari ma piuttosto emozionalmente sfasati, per giustapposizioni e scarti, per accumuli quasi ansiosi».
Ebbi modo di intervistarlo in quanto ospite della Casa della Poesia presso il Teatrino della Villa Reale di Monza nel 2016, in occasione della celebrazione della “Giornata mondiale della poesia” con i poeti Davide Ferrari, Gianni Salis, Massimiliano Mandorlo, Lorenzo Babini, Claudia Nicola, Flaminia Cruciani, l’attrice Laura Piazza e l’arpista Claudia Nicola. ( https://elisabettamotta.it/un-preludio-piu-voci-la-giornata-mondiale-della-poesia-vorrei-marzo-2016/). Durante l’incontro, con la sua voce sottile e priva di retorica, affidandosi alla memoria e muovendo nell’aria le sue lunghe braccia, ha recitato questi versi straordinari, contenuti nella raccolta L’aria (Einaudi,1980), in cui esplicita le ragioni del fare poetico:
Se scriv perchè la mort, se scriv’me sera
quand l’òm el cerca nient nel ciel piuü,
se scriv perché sèm fjö o chi dispera,
o che ’l miracul vegn, forsi vegnü,
se scriv perché la vita la sia vera,
quajcòss che gh’era, gh’è, forsi gh’è pü.
Si scrive perché la morte, si scrive come sera / quando l’uomo cerca niente nel cielo piovuto, / si scrive perché siamo ragazzi o chi dispera / o che il miracolo venga, forse venuto / si scrive perché la vita sia più vera / qualcosa che c’era, c’è, forse non c’è più.
Ha inoltre ricordato con la consueta umiltà che lo contraddistingueva che il poeta non è l’autore dei suoi versi, ma solo il “veicolo”, “lo scriba”: «I’ mi son un che, quando Amor mi spira noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando», amava ripetere.
Ricordo che, nello scendere le scale del Teatrino di corte, mi ha chiesto di accompagnarlo dandogli il braccio: un gesto di chi si affida all’altro con fiducia, in cui è ravvisabile l’umanità del gesto poetico come possibile punto d’incontro che annulli le distanze. Per Loi la poesia è sempre stata un dialogo aperto, in cui è possibile muoversi e porsi in ascolto, intrecciare i fili dell’esperienza. Come ha scritto Luperini nell’introduzione a Umber (Manni,1992) «la parola di Loi […] è rimasta quella “fraterna” di Stròlegh: cerca nel buio e nel fango comuni, comune ragioni di religio o di pietas». E così è anche per le numerose raccolte successive in cui si avverte un dialogo ininterrotto con la vita, di cui si coglie il suo “innamoramento”. Scrive in Voci d’un vecchio cantare (Il Ponte del sale, 2017): «Che ben g’ȗ vursü mi a la vita / a véss di alter, piasêgh e faj cuntent, / parà, inventà, giügà, e cun la tusa / fass brascià-sü nel girasu del vent… (Che bene ho voluto io alla vita, / offerto agli altri, piacergli e farli contenti, / parlare, inventare, giocare, e con la ragazza / farsi abbracciare nel turbine del vento…). E in Lader de Diu canta il poeta, canta il mondo e l’umanità, canta la natura ritrovata per la strade di Milano: «Se per Milan camini ‘na quaj strada, / parli cuj arbur, parli cont i sass, che de parà mi cerchi cun la vita» (Se cammino per Milano in una qualche strada / parlo con gli alberi, parlo con le pietre, / chè di parlare cerco sempre con la vita). E canta Dio, che è il “dittatore” dei suoi versi, sempre presente, anche nella sua assenza, nel suo pensare, nel suo agire, nel suo amare: una ferita aperta che non si rimargina, una spina che ferisce ma che è anche motivo di gioia. Una spina che punge, tormenta e non dà pace, una «spina che dà rös» (spina che crea rose), le rose che tanto amava e che ha potuto ammirare, anche se solo di sfuggita e parzialmente fiorite nello splendido Roseto Niso Fumagalli della Villa Reale:
Nel venter de la vita Diu te ravàna.
Cume ciamala sta spina che dà rös?
L’è ’me’n princìpi, ’na fen, un grattacü,
’na vespa che te spung e che te ciama,
e tí, ’m’ i surd e i òrb, sensa respund.
Mí Diù su no chi l’è, su niente de lü…
… l’è ’me’na vȗs de vȗs che parla dent
e ciama dent un corp al nient de lü.
Nel ventre della vita Dio ti fruga. / Come chiamarla questa spina che crea rose? / È come un principio, una fine, un’inquietudine, / una vespa che ti punge e invoca, / e tu, come i sordi e gli orbi, non rispondi. / Io Dio non so chi è, non so niente di lui … /… è come una voce di voce che parla dentro / e chiama dentro un corpo al nulla di lui.
Ad un anno dalla sua scomparsa la Mondadori gli ha voluto rendere omaggio con la ristampa del suo poema l’Angel, che ci parla di una delle figure più significative del suo panorama poetico: persona sublime ma reale, autobiografica, che lo accompagna per le vie della città, operando un connubio fra realtà e visione, riannodando ricordi e scene della fanciullezza e giovinezza come immagini di una vita anteriore e di un al di là che torna a fargli visita in sogno.
La sua biblioteca e i suoi scritti sono ora consultabili ora presso il fondo manoscritti della Università Cattolica di Milano che già da alcuni anni ha provveduto a raccoglierli e costituiscono un lascito immenso per la città in cui ha vissuto, lavorato, operato e amato. Ma ancor più grande è il suo testamento interiore e il ricordo indelebile che ha lasciato in chi lo ha potuto incontrare e leggere i suoi versi, testimonianza di un uomo che amava profondamente la vita.
21 marzo 2016 Giornata Mondiale della Poesia – Teatrino della Villa Reale di Monza.
Elisabetta Motta intervista Franco Loi.