
Isabella Morra, la sua storia
Di Valsinni è particolarmente interessante la triste vicenda di una gentile fanciulla, Isabella Morra, la quale apparteneva a famiglia il cui capo parteggiava per i francesi, nel periodo delle lotte tra la Francia e la Spagna per la spartizione del Regno di Napoli.
La giovinetta era molto amica della moglie di un signore spagnuolo che risiedeva nel vicino Comune di Nova Siri. Maltrattata dai fratelli dimoranti a Valsinni, essa sperò nell’aiuto dell’amica per fuggire di casa ed andare a raggiungere l’altro suo fratello, che era segretario di Caterina dei Medici regina di Francia. Le lettere che ella scriveva alla gentildonna di Nova Siri caddero nelle mani dei fratelli.
Questi uccisero lei, ed il marito della sua amica, cui tesero una imboscata sulla via fra Nova Siri e Taranto, che quello doveva percorrere per tornare al paese. Isabella Morra fu poetessa gentile e delicata. I suoi versi intrisi del suo pianto ricordano il duro martirio cui la infelice era sottoposta dalla sospettosa crudeltà dei fratelli.
In un sonetto scritto poco tempo prima di morire, essa rivolge alle acque del Sinni le sue ultime invocazioni disperate, e conclude dicendo che, quando il fratello tornerà alla Corte di Francia, troverà il fiume più grosso non per le acque della pioggia o quelle del disgelo delle nevi, ma per le molte lagrime che i suoi occhi avevano pianto, nei giorni durissimi della solitudine e del patimento
Isabella Morra – (da: “la Basilicata” di F. Di Sanza – primi del ‘900)

L’infelice vicenda umana che avrebbe riversato nel Canzoniere e che si doveva concludere tragicamente, ebbe inizio con la fuga in Francia del padre, condannato all’esilio dagli Spagnoli vittoriosi sui Francesi, per i quali parteggiava il Morra.
Nel 1523 il Regno di Napoli fu invaso dai francesi comandati dal maresciallo Lautrec e Michele Morra per fronteggiare un Sanseverino, Ferrante principe di Salerno, che possedeva presso Favale il castello della Rotondella, patteggiò per gli invasori. Dopo la sconfitta dei francesi esulò in Francia riparando alla corte di Francesco I, seguito dal secondogenito Scipione, fratello gemello di Isabella.
Come in uso nelle nobili famiglie del tempo, Scipione era il figlio destinato ad essere istruito e, proprio in virtù della particolare educazione impartita al fratello Isabella ebbe modo di avvicinare un universo, quello delle arti e della letteratura, che le sarebbe stato altrimenti estraneo. Il primogenito Marcantonio, rimasto in Italia, rientrò dopo qualche anno in possesso del feudo e vi si ritirò con la madre, i fratelli Decio, Cesare, Fabio e Camillo e le due sorelle, Porzia e Isabella.
Giovan Michele non sarebbe più tornato dalla famiglia. Il dolore per il distacco dell’amato padre fu terribile per Isabella, abbandonata anche dal prediletto fratello Scipione che seguì il destino paterno e divenne, morto Francesco I, il segretario favorito di Caterina de’ Medici. L’esistenza di Isabella piombò nella desolante solitudine di chi non ha interlocutori adeguati alla propria sensibilità.
Unico conforto la sua poesia, sulle sue ali Isabella evase dall’inferno fino all’incontro, forse, con Diego Sandoval De Castro, il castellano spagnolo e governatore di Taranto che, come lei, amava la poesia. Don Diego soggiornava occasionalmente presso il feudo di Bollita, governato dalla moglie Antonia Caracciolo.
Le voci che insinuavano una loro relazione scatenarono il furore dei fratelli che, oltraggiati nell’onore di padroni e custodi della sorella, smaniosi di punire il nemico spagnolo, e irritati per l’infedeltà del pedagogo, che sembra fosse favorevole al loro amore, meditarono il tragico epilogo. Ucciso il precettore, pugnalarono Isabella e, in un agguato nel bosco di Noia con la complicità degli zii Cornelio e Baldassino, assassinarono Don Diego.
Furono i suoi assassini ad ottenere ciò che Isabella aveva desiderato, la fuga in Francia ed una “carriera” un riconoscimento. Fuggiti in Francia, Cesare ottenne da Caterina una ricca abbazia nei pressi di Limoges e Decio sposò una gentildonna della regione.
La nemica fortuna dette loro ciò che essi stessi non avevano voluto, ciò per cui lei aveva lottato e per cui era stata uccisa… E se non fosse stata uccisa non avremmo mai letto le sue poesie.