Sabato 26 maggio 2018
Sala Caimi – Bevedere della Reggia di Monza
PREMIO INTERNAZIONALE ISABELLA MORRA, il mio mal superbo VIII Edizione
Sabato 26 maggio, nella splendida Sala Caimi – Bevedere della Reggia di Monza, alla presenza di un pubblico numeroso, si è svolta la cerimonia di premiazione dell’VIII edizione del Premio Internazionale Isabella Morra, il mio mal superbo.
Per la sezione POESIA INEDITA si aggiudica il primo premio PAOLA LORETO, al secondo posto GLORIA CIVARDI, al terzo LUCIANO MONTI, con le seguenti motivazioni della giuria
1° CLASSIFICATO PAOLA LORETO
Elegiaca
Nei tre testi che compongono Elegiaca di Paola Loretosi coglie una levità che si coniuga tuttavia con torsioni dolorose: i versi si contraggono e pulsano per dire ancora nell’oggi qualcosa di antico come l’uomo: la necessità e la difficoltà di accettare la malattia e infine la morte, realtà ancor più dolorose se si tratta di un proprio caro. Attraversare il vuoto per penetrare nella mente del padre che pare persa in una “distanza abissale”, cogliere la profondità del suo guardo tornato bambino (uno sguardo profondo, senza fine, / che mi era meraviglia), pronunciare la parola non detta che possa salvarlo, son questi i gesti riproposti dalla figlia in questo intenso e commovente monologo che si fonda sul valore del dolore condiviso e sulla speranza che questo volo / superiore possa compiersi nel segno di una esistenza più alta.
Elegiaca
Il mistero più grande
è cosa pensi
se pensi.
Chiudi gli occhi
e ti concentri.
Ti sforzi di deviare
il pensiero dalle solite
vie che vedi bene
non portano a una meta.
Lo vedo dalle mani
portate alle tempie
attorno al cranio
reclinato a contenere
un’ira vana, penosa.
Quanti strati di coscienza
attraversi e poicedi
al vento, con o senza
rimpianto, padre
che vorrei salvare,
padre che non conosco
e amo.
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Avevi quello sguardo, alla fine,
profondo, senza fine,
che mi era meraviglia.
Mi chiedevo da dove
veniva. Cosa vedevi.
Due mondi attaccati
nella tua sola pelle,
padre, troppo
troppo sottile.
Chissà se c’eri,
dietro il boccone ingoiato
e dietro quello sputato.
Chissà se pensavi
strapparti tutto e scappare
oppure finire, per favore.
Non hai mai voluto
chiedere. E poi non hai
più potuto chiedere.
Non ho imparato
a dirti, mai, che
ce l’avresti fatta,
come hai fatto tu
un giorno con me
(salvandomi).
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Chissà se hai raggiunto
questo volo
superiore
così fermo e costante
(posato nel distacco
possente nell’assenza
di sforzo o turbamento)
anche in mezzo alle nubi
nonostante tutto quanto
accade al di sotto
senza altitudine
qua.
2° CLASSIFICATO GLORIA CIVARDI
Poesia alimentata da una fervida immaginazione, ricca di metafore e originali analogie . Nel primo testo la pianta si fa metafora dell’umanità ancorata con salde radici nel corpo degli assenti e protesa verso la luce nel donarsi. In questa immagine si può leggere anche una presa di coscienza dell’io lirico che abita questi versi e che vorrebbe offrirsi agli altri e ritrovare una parola che possa sfondare i limiti del senso per giungere ad una verità, se pure provvisoria.In questa direzione procede anche il terzo componimento che affronta il tema della complessità delle relazioni sociali attraverso la metafora del pugno che affonda in un sacco di canapa pieno di riso, creando attrito fra i chicchi.ll secondo testo colpisce il lettore per una originale analogia fra le figure di Arlecchino e quella di un Samurai, che si avvicinano e sovrappongono attraverso passi di danza e poi si disgiungono per lasciar posto al gesto estremo dell’Harakiri compiuto dal Samurai, in uno scenario naturale suggestivo ed evocativo, reso con una grande forza espressiva, linguistica e pittorica.
Sono la pianta
ferma
nella luce. ho radici
nel corpo degli assenti. avevo
in bocca un seme, uno
soltanto. prima di me l’universo
era muto.
Accade
il giorno: l’essere si spacca
in secoli di zolle rivoltate.
Nasco interna a me stessa da ogni ramo
e dove tendo il vuoto
si ritrae.
Questo è
il mio frutto chiuso
nella buccia. questa
la polpa in punta
di coltello.
altro da me non so
dare.
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Ho un costume di stoffa
ripiegata, e molti nomi. Dovrò restituirli,
uno per uno.
E questa fascia che mi lega
in vita, per prima vedrà il meridiano
del mondo. Un solo movimento. Il suo contrario
cuce i colori al giorno, al piede un equilibrio
di danza. Così si tenta
il filo della lama. Sarà diverso,
dopo. Ma – finché la luna
si concede al lago, come
spingendo avanti una sorella, mentre lei
stessa volge il viso a est, e
si ritrae…
– Chi sei?
Avevo la notte
al fianco, e le mie stesse mani.
Un vecchio mi diede da bere. Solo
davanti a lui
mi inginocchiai. Non era
ancora primavera. Ma sentiero
di montagna, voci di contadini in lontananza.
Una bianca penombra. E sopra a tutto
il volto di mia madre
in abbandono, pallido di cielo
e come il cielo – vasto.
Così io mai
l’avevo conosciuta.
Riposo di farfalla
ad ali chiuse.
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è un sacco di canapa ruvida, pieno di riso.
Il pugno vi affonda preciso: non fa alcun
rumore. Solo
uno spostamento sordo – l’attrito
di un chicco sull’altro – si allarga intorno
al punto dell’impatto
a fare spazio a ciò
che non ha
peso.
quello che
scheggia gli occhi certe volte somiglia
a vetro infranto sulla sabbia.
Una volta soltanto
vorrei vederla – al centro del diaframma,
la verità.
da fuori. col mio nome.
3° CLASSIFICATO LUCIANO MONTI
Poesia disancorata dal peso dell’esistenza, capace di dialogare e di tendersi per raccogliere tutto ciò che palpita nell’invisibile: l’anima del mondo, una forza vitale che innerva ogni creatura vivente sia foglia, radice o pianta, muschio, per poi tendere al cielo. Nel primo testo le foglie cadute dello storace si fanno veicolo di immagini di amore e offerta, sangue e lacrime che si involano nel limpido cielo di tramontana. Suggestiva l’immagine del maestoso fico-direttore d’orchestra che ne L’albero della musicacon l’ausilio del vento di Tramontana muove le piante, eseguendo una melodia senza tempo, riflesso di quella del paradiso. L’uso dell’allitterazione e delle onomatopee rende il testo una interessante e graditissima partitura poetica. Irradiata da questa melodia incantatoria la voce che parla nel bosco spazia sulle tracce del tempo perduto, impresso con incomprensibili segni sulle robuste braccia del bagolaro, (protagonista del terzo componimento), per divenire poi tempo ritrovato che si svela al tatto del muschio e rilanciarsi in un conclusivo augurio di pace. È una poesia di grande respiro, in cui tutti i sensi vengono coinvolti in un’opera di disvelamento dei segni attraverso i quali si manifesta il Mistero, a cui si tenta di accedere anche attraverso l’uso del lessico specifico proprio della botanica.
Sono lacrime di rame e sangue
Sono lacrime di rame
le foglie dello storace[1], cadute
prima di stringere l’ultimo tenue sole,
di tardivo autunno.
Strenui, talune, arrossano
ancorate sulle braccia seminude;
delicate mani incomprese,
sono coraggiosamente votate
ad amare fino in fondo,
fino alla fine, fino all’ultimo sospiro.
A loro, lacrime color sangue,
l’onore di non marcire nell’oblio,
ma di involarsi, immortali, per il più limpido
cielo di tramontana.
L’albero della musica
Una scala a scendere
ti conduce sinuosa
tra muschio e barbagli di trifoglio;
ti conduce al fogliame che giace
sconfitto dai temporali estivi;
ti conduce sino alle radici
del maestoso fico,
direttore d’orchestra
e guida sicura.
È suono verticale;
l’albero chiama le canne d’organo,
allineate nel riposo d’acqua,
con le loro rapide stille;
più sotto, la batteria d’archi
sul beccheggio del lago,
tesse note lente.
Tra poco, al primo vento Tivano,
il fico chiamerà a sé
i grappoli di iris:
tra poco sarà melodia,
-senza tempo- tra poco,
come in paradiso.
Il Bagolaro
La storia impressa,
con incomprensibili segni,
sulle robuste bracciadel bagolaro
si svela al tatto.
Chiudi gli occhi
e ascolta la leggenda
di eroi dimenticati,
a difesa dal mare.
Poco distante
la torre normanna
zoppica appoggiata
alla chiesa intrusa
senza più memoria.
Quei solchi bruni
ti possono apparire lontani,
basta immaginare una carezza
e il vello di muschio
ti augurerà una notte di pace.
PREMIO DELLA CRITICA a FABRIZIO BREGOLI
Gineceo nella polvere
Poesia di impegno sociale, in difesa della dignità della donna. Le strofe incedono precise, con determinazione, ben costruite nella forma, evidenziando la maturità stilistica raggiunta dall’autore. Il primo testo, ambientato in un istituto clinico ucraino dal titolo Irina Kratulova, affronta il tema della maternità surrogata, aprendo parentesi di dolore, solitudine, incomunicabilità ed esprime la difficoltà nell’accettare il ruolo di madre attraverso l’uso insistito dell’ossimoro. Il secondo testo, Melania V., affronta il difficile rapporto fra un padre e una figlia, un rapporto malato, inficiato da un silenzio tagliente come una scure, in relazione ad inquietante segreto che non viene rivelato. Il terzo, Nisha Q., dà voce attraverso la protagonista ad una pluralità di voci femminili che si avvicendano nel corso del tempo: la schiava negra, l’ebrea, la prostituta: donne sfruttate, violentate annientate nella loro dignità al punto da divenire nulla, erba sfinita, vento.
IRINA KRATULOVA
(Donor No. 34576148-2, BioTexCom*Inc. – Kiev)
Ho mani fragili, un grembo di pane.
Conosco il gergo stolto degli inverni
ne ho inscritto il silenzio sulle labbra,
la solitudine di tutte le porte
dove ho costretto l’esilio dei passi.
Qui si sconfina come a terra franca
la satira di un sole, o la sua surroga.
Ignoro chi accolgo, la vita
che mi diedero da crescere.
Mi parla un idioma losco, straniero.
Tento una voce. Le risponde il vuoto.
Tendo la mano. Ne raccolgo cenere.
Sono lo strappo, ripudio d’un dono.
Questo soltanto so offrirti, mentre ora
a me giungi oscuro e limpido. Fiore
ottuso, aporia del nulla.
(*) BioTexCom è il più rinomato istituto clinico ucraino per la maternità in affitto
MELANIA V.
Padre d’errore, padre
malgrado vero, a te ritorno – riva
dura – da scale d’un tempo non mio,
una rovina d’anni. Fuggo le mani docili
innaturali nella loro croce,
ora che sei rimasto
il volto della maschera compiuta.
Ti reco l’otre vuoto, l’erba matta
del congedo, la sua voce abbrunata.
Ho raccolto i capelli, scarpe basse
e modestia di passi, una bluse nera
la gonna a quadri in tàrtan rosso, proprio
come quella che ti piaceva tanto
quando,fatti guardare, come sei
diventata grande, una
donna,dicevi, in un sorriso strano.
Dopo, m’accompagnavi a scuola, come
sempre, come deve. La radio accesa,
un farnetico di canzoni. Il solo
a rompere la scure di silenzio.
NISHA Q.
Nasco oggi. Appendice di fango
lo sconcio d’una costola.
Sono gramigna, mala lebbra da ardere
la negra, la schiava dei campi di cotone
la piccola ebrea ai piedi della croce.
Tutte loro, sommate nel mio nulla.
E sono questa me, a me sconosciuta
la donna che sono e dimentico,
la sua eco feroce.
Quella di questa sera, il labbro rotto
gambe livide, un sesso enfiato.
E d’una donna, che ne è dunque – solo
bianco che abiura, voce che si spez-
za, frana – e cosa può esserne mai. Vita
e suo spergiuro – Erba sfinita. Vento.
SEZIONE STUDENTI
1° CLASSIFICATO GRETA MERONI
L’aria è la protagonista assoluta del primo testo: essa è il nutrimento del respiro del mondo, rappresenta la sfasatura fra ciò che siamo e quello che vorremmo essere, tra il nostro essere limitati e l’assoluto. E così, benché il fiato a volte sia corto e le gambe non ci sostengano, fra cadute, inciampi e tirannie del tempo che la vita ci riserva, come scrive l’autrice basta un’ora d’aria per cibarsi d’infinito. Nel secondo componimento l’uso insistito dell’anafora e del verbo guardare all’imperfetto rispecchiano la consuetudine del gesto del protagonista, un tu che vive nel ricordo di un amore perduto e sembra protendersi pericolosamente verso un vuoto che potrebbe ingoiarlo ma che, tuttavia, non riesce a catturare il respiro della sua anima. Il terzo componimento, Due segni in volto, è giocato su sensazioni visive attraverso pennellate di colore: segni azzurri come il cielo, rossi come il sangue e la rosa matura, macchie d’esistenza che divengono, come il ricordo, tracce indelebili.
Quando il fiato manca per la rincorsa
in una realtà che non vesti
mentre il tempo non aspetta
e aspettare pesa
quando l’ombra salata tra le labbra
stanca
mentre fili di piombo frenano il passo
tra cadute e inciampi
un’ora d’aria
per cibarsi del cielo
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Guardavi il vuoto in cerca d’infinito
con la semplicità di chi ha amato
e vive ogni giorno con il ricordo dell’amore.
Guardavi il vuoto come un lontano amico
con il dolore di chi ha amato
e vive ogni giorno soffrendo per amore.
Guardavi il vuoto con le cicatrici dei rimpianti
e la consapevolezza dei giorni perduti.
Guardavi il vuoto con un sorriso dipinto sugli occhi
perché il vuoto
non è riuscito a imprigionare la tua anima.
***************************************
DUE SEGNI IN VOLTO
Vestivi due segni in volto
rossi, il sangue e la rosa matura
due dita di cenere sulla porcellana più fine
macchie azzurre come il cielo,
il tuo colore preferito,
sottili fili d’erba e rugiada
colori di un’esistenza.
Vestivi due segni in volto
per mostrarti
indelebile
2° CLASSIFICATO CAROLINA CARRARETTO
Poesie che denotano uno sguardo attento sull’oggi e sul proprio sentire, espresse attraverso un lessico moderno e un registro stilistico che sa variare dai toni divertiti ed ironici a toni più intimistici. Il primo testo, Gemelli eterozigoti, esprime attraverso l’irrequietezza dei due gemelli “uguali ma diversi”, la grande inquietudine dell’essere umano quando vive situazioni di incertezza e dubbio in relazione alla dicotomia cuore/mente. Il secondo testo, Oggi, contiene invece un’aspra critica alla società odierna composta di persone che per denaro svendono i propri sogni e quelli dei figli, che aspirano araggiungere fama e successo senza faticare, che coltivano sogni velleitari. Il terzo componimento è invece costruito su un impasto di suoni, colori, sapori, atmosfere e stati d’ animo che convergono nella originale metafora della chitarra scordata, che esprime una precisa sofferenza d’amore.
OGGI
Tutte scimmie senza casco
dicono di esser nate senza una tetto
e voglion fare scacco matto
senza la sveglia di fianco al letto.
Siete solo mangiasoldi, altro che sogni,
scivolate tra l’essere serpenti a conigli.
Appena nati morti,
partorite già le monete sopra gli occhi dei vostri figli.
Siamo scarabocchi di pregiudizi
siamo scarafaggi che si nutrono di vizi
vedi già la meta ma è meglio che inizi
tutti capaci e tutti artisti,
parlano già dei quadri, intrappolati nei loro schizzi.
GEMELLI ETEROZIGOTI
Uno batte il piede senza ritmo
L’altro siede e spegne il cinismo.
Il primo, in alto, pensa scaltro
accavalla i nervi
come le gambe del secondo,
il quale è assuefatto dal mondo.
Ma l’agitato lo rade al suolo;
non crede e non cede a quel che l’altro vede.
E spesso si ritrova solo,
generando onde che mai il Cuore beve,
solaMente isolato come le barche del molo.
CHITARRA SCORDATA
Sono una chitarra che devi scordare
e ti do il tempo di farlo.
Svita i bulloni dei ricordi,
mentre io scaldo le corde vocali.
Perché lo so
che te l’ho detto adesso
con la bocca amara
colma di parole stonate e dissonanti.
In quel modo che tu odi
ascolti la mia lingua che vibra come
il metallo delle corde.
E per la prima volta
non riesco a capire a cosa pensi.
Forse mi accetterai
o
forse mi respingerai.
Non lo so
forse non mi interessa.
Come un’artista di strada
preparo i bagagli coi tuoi occhi
giro su me stessa e me ne vado,
mentre tu sei su di giri.
3° CLASSIFICATO DESIREE’ SCARAFIOTTI
In Diventarei quattro elementi naturali acqua, aria, terra, fuoco, vengono passati in rassegna e chiamati ad essere fondamento di una vita che appare degna di essere vissuta solo se spesa con coraggio, intensità e passione. Sono testi che giocano con l’allitterazione e l’anafora, per rafforzare la musicalità e ribadire l’importanza di concetti fondamentali legati all’essenza dell’essere. Si intravede il piglio dell’autrice che, se pur giovane, appare determinata a mettere a fuoco nella vita ciò che conta e vale. Gli altri due testi Tu seie Ti diròesprimono un amore senza misura, delimitato solo dai sogni chiusi nel cassetto e dai segni del destino che ancora devono essere decifrati. Su di esso l’autrice fa leva per proseguire nel transito dei giorni, cercando di annullare ogni distanza.
Diventare
Sii il vento,
diventa tempesta.
Sii il mare,
perditi tra il suo essere infinito.
Sii il fuoco,
non smettere di ardere.
Sii la terra,
non temere di tremare.
Sii la paura,
che ti scuote dentro
e che ti accende il coraggio
Sii l’essenza,
di cose che non si spengono mai
Tu sei
Tramontano i cieli,
cadono i desideri.
Tu sei
tra i pensieri miei,
nella notte,
nel giorno,
quando rido,
quando dormo.
Quando respiro,
tra testa e cuscino,
tra sogni chiusi nel cassetto
e segni del destino.
Ti dirò
E se ci dividessero
chilometri di case.
Ti disegnerei
su tutte le facciate.
Ti scriverò,
centinaia di poesie.
supererò migliaia di autostrade
per uccidere questa distanza,
fino a morire
prima della speranza.
SEZIONE DETENUTI
1° CLASSIFICATO M. F.
FRAMMENTO DI CROCE
Forse non sai che quella malinconia che sentiamo
é solo un frammento di quella croce che ci portiamo dietro
e non esiste Prozac che possa mandarla via
siamo destinati a portarla dentro
ma non è detto che sia un male
perché ha Ispirato i più grandi poeti
scrittori attori e cantautori
figlia della più grande ingiustizia
mai perpetrata dagli uomini
quella ingiustizia è dentro di noi
e genuflettersi può lenire il dolore
ma non ci toglierà quel sapore di legno bagnato
sudato che l’ostia sa dare
tutti figli della stessa croce
ne proviamo vergogna o indifferenza
i primi pregano chiedendo perdono
i secondi lo cercano
quando hanno bisogno di qualcosa.
Lui li ascolterà entrambi
Perché sa aspettare
Senza giudicare
Ed alla fine perdonare.
2° CLASSIFICATO R. D.
IO E TE
Io e te, splendida la prima volta che l’ho detto
Io e te meravigliosa la prima volta che l’ho detto
Io e te è la parte migliore di noi
Io e te è la speranza la luce la felicità
Io e te è il mio cuore che batte per te
Io e te è il sogno che è dentro di me
Io e te è il mio desiderio il mio battito del tempo
Io e te è tutto quello che voglio per me e per te
Hai rubato il mio cuore proteggilo custodiscilo difendilo
Come io e te
Io e te sinfonia d’amore
Tutta la vita io e te
Ti adoro come una dea
Tu sei la mia dea
Tu fai parte di me
La vita della mia vita
Il tuo respiro è dentro di me
Io e te è dentro di me
Come un fiore in piena
Porta con sé la propria forza
Tu porti a me la tua forza
Io e te per sempre
Perché un giorno senza io e te
non è degno di essere vissuto
mia adorata.
Regalami io e te fino alla fine
Noi siamo io e te
3° CLASSIFICATO A. P.
LA TUA BELLEZZA
Le curve accentuate del tuo corpo
Il profumo della tua pelle
Mi faceva volare in cielo in mezzo alle stelle
Il tuo gesto nel sistemare
I tuoi lunghi capelli neri
Mi sembra di vederlo fino a ieri.
Il tuo modo sicuro di affrontare la vita
Nascondeva fragilità e amarezza
Ma io lo facevo scomparire
Con una semplice carezza
Il ricordo del sapore dei tuoi baci
E quando io insaziabile ti chiedevo
Ancora, ancora ancora …
Li avrei voluti qui ieri oggi ed ora
Quando torni dopo una giornata di lavoro
Ti corichi sul divano con l’aria stanca
Solo io so quanto mi manca
La vergogna di mostrarti
Del tuo essere mamma
Ai miei occhi traspare lo stesso.