
Cerimonia di Premiazione Premio di Poesia Isabella Morra IX edizione de La Casa della Poesia di Monza
Sabato 8 giugno
Reggia di Monza – Salone delle Feste
Il Premio è stato fondato da Antonetta Carrabs presidente de La Casa della Poesia di Monza.
Oltre 150 persone presenti, un successo annunciato. Ringraziamo il sindaco di Monza DARIO ALLEVI e l’assessore Andrea Arbizzoni per la loro partecipazione, Gisella Pezzaglia per aver coordinato la danza di apertura, il nostro presidente onorario Guido Oldani, Donatella Bisutti, Gianna Parri, Andrea Galgano, Massimo Morasso, Elisabetta Motta, Iride Enza Funari, Antonetta Carrabs, membri di giuria e tutti i poeti che sono intervenuti. La Casa della Poesia di Monza ringrazia Gli Eventi di VILLA REALE per la collaborazione.
SEZIONE STUDENTI
ELISA NOEMI FOLCHINI
3° CLASSIFICATA EX EQUO
MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Il testo si configura come una sorta di litania laica scandita dall’anafora, che conferisce il ritmo all’intero componimento, scritto in versi liberi, e costituito da tre strofe ed un congedo finale: Vive realmente chi vive per un sogno ̶ che diventa una sorta di formula magica in cui è contenuto il segreto per non sprecare la propria esistenza. Siamo di fronte ad una autrice che, se pur giovane, bandito ogni scetticismo, crede nel reale ed è consapevole di dover coltivare nella propria vita passioni, sogni e ideali, affidandoli alla scrittura poetica come forma d’arte veicolo di verità profonde.
Vive davvero
Vive davvero chi attraversa la strada in una giornata di pioggia
portandosi l’arcobaleno dentro di sé
chi raccoglie un fiore all’alba della sua fioritura
solo per scoprirne il profumo
chi esce dagli schemi
e sceglie le scale al posto dell’ascensore
Vive davvero chi riesce a voltare pagina
non curandosi dei pregiudizi
chi sa donare un sorriso, una parola, uno sguardo ai più deboli
chi sa ridere di se stesso,
trovando pur nelle debolezze i suoi punti di forza
vive davvero chi riesce ad emozionarsi davanti alle semplici cose
chi non sa fare altro che amare,
indipendentemente dalle differenze
chi continua a lottare, scegliendo sempre la vita
senza abbandonarsi alla quotidianità
vive realmente chi vive per un sogno.
3° CLASSIFICATA EX EQUO
CAMILLA CHIARA ASNAGHI
MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Il testo si configura come una sorta di litania laica scandita dall’anafora, che conferisce il ritmo all’intero componimento, scritto in versi liberi, e costituito da tre strofe ed un congedo finale: Vive realmente chi vive per un sogno ̶ che diventa una sorta di formula magica in cui è contenuto il segreto per non sprecare la propria esistenza. Siamo di fronte ad una autrice che, se pur giovane, bandito ogni scetticismo, crede nel reale ed è consapevole di dover coltivare nella propria vita passioni, sogni e ideali, affidandoli alla scrittura poetica come forma d’arte veicolo di verità profonde.
Corrispondenze
Nel vuoto dell’eterna tua notte
al sol ricordo del tuo sorriso
mi si apre davanti un ponte
che collega me al tuo respiro
terzo ex equo
SOFIA RAVASIO
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA legge ANTONETTA
Lirica densa di intrecci di parole incise nel corpo; parole non dette, parole che da silenzi si trasformano in grido soffocato. Parole che mergono nei tratteggi che scandiscono ogni verso con una grande capacità evocativa. Versi che si susseguono a ritmo serrato con parole “nascoste nella bocca” nei “nodi dei capelli” nelle “tracce della pelle che si sgretola”. Si avverte nel testo il bisogno di comunicare con chi non sa ascoltare, è un silenzio che cresce nell’impossibilità di trovare sfogo. “Tanto ne sono piena” ci lascia sospesi nell’impotenza di soddisfare un bisogno crescente.
Parole perse
Nascoste nella bocca,
Tra i nodi dei capelli.
Non hanno mai potuto vedere la luce,
Hanno saputo solo spegnersi
Immerse nel loro torpore fatto di silenzio.
Le persone non le vedono.
Lascio dietro di me tracce della mia pelle che si sgretola
Tanto ne sono piena.
2° CLASSIFICATA
LAVINIA MARTINELLI
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Lasciatevi andare allo stupore di ciò che vi circonda, di un mondo fatto di rimandi e di immagini che fanno fremere il cuore davanti ad ogni piccolo dettaglio di bellezza. In questa poesia non manca anche quel sottofondo doloroso, la consapevolezza della caducità delle cose che si susseguono a ritmo serrato. La lettura ci regala immagini allegoriche dove compare un “io” che cerca pace dove l’autrice si lascia condurre dinanzi a ciò che il suo sguardo coglie; la visione è onirica e trasforma la realtà in sogno dove la fenice è pronta a rinascere avvolta dall’alta marea dei ricordi.
Ancora sospiro
Sopra i tetti della città lavata
ancora sospiro
come gatto selvatico
con gli occhi mossi al pianto,
quando mi guardo intorno,
sfioro la consapevolezza che non esiste
attrito che possa opporsi al pensiero
di una sagoma di buio
che slitta al desiderio.
Con gli occhi lussuriosi svesto il mondo
e mi stringo al petto oniriche visioni
come si pensa al glicine sui laghi:
avidamente
vivo incubando bellezze
con le guance rosse di bambina
stupita al cambiar della stagione.
Raccolgo lo slancio
come chi lancia sassi sull’acqua
dalla superficie per ritornare alla vita,
rifuggo i punti nelle mie pagine di memoria
e col dito nella sabbia
scrivo:
Ricordati
dentro quale sole sorgi
che non è tutta alba la luce.
1° CLASSIFICATA
AGNESE CHIARETTI
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Lo smarrimento del sé è il tema che Agnese Chiaretti sfiora per immagini e parole in questo testo poetico denso di tenerezza e sperdimenti di chi, avendo perso la ragione e il conto delle onde, si ritrova a far amicizia con i fenicotteri sulle spiagge del mondo. Andrea Zanzotto definì l’Alzheimer, il dolore della demenza, “il mal del desmentegon”, un dolore denso di piccole e grandi solitudini che in questi versi trovano parole intrise di emozioni. E così, la consapevolezza di essere soli, porta anche a dimenticare il proprio nome davanti all’universo mondo. Davide Rondoni ricorda sua madre: l’angelo con gli occhi incomprensibili – che – annuncia: non ci sarà più tempoperché la demenza purtroppo, cancella la grammatica dei ricordi e accompagna queste anime in territori ignoti dove nessun altro può sperare di entrare. E per non smarrire quel filo d’Arianna di congiunzione, si può decidere di sostare insieme a loro comunicando attraverso un linguaggio denso di amore.
Smarrimento del sè
(Alzheimer)
Ho nuotato
in un mare prosciugato
per troppi anni.
Troppi anni,
tanti da dimenticare
le tabelline.
Il mio nome ha un suono strano,
adesso.
Sono solo un uomo,
un uomo solo,
sono solo.
Ho perso la ragione
e il conto delle onde
che si infrangono, invisibili,
sulla punta del mio naso.
Ho fatto amicizia
con i coleotteri
delle spiagge di tutto il mondo.
Mi addormento qui,
al centro geometrico
del mio mare senza bolle.
FINALISTI
MARCO BELLINI
Dosi minime
*
Mentre i vetri portavano sul letto il rumore sbattuto
e graffi luminosi alla carne rimasta
ti sentimmo dire: “vorrei morire così,
dentro un temporale, nel vento e il buio vibrato”.
L’energia liberata volevi mostrasse
la collina di spalle, il taglio scavato
nel tronco messo lì capace di portare su,
la forma concava di un abbraccio, ultimo
a stropicciare i soprammobili, l’inclinazione
imprevista di un quadro. E la finestra in mezzo
decideva dosi minime di mondo per te
frammenti, a piccoli strappi, per occhi
e palpebre lente a lasciar entrare.
Come una premonizione sfuggita non si capiva
se stanza e morte già si parlassero.
FABRIZIO BREGOLI
Istruzioni alchemiche per il compostaggio
Raccogliere e impilare sfalci d’erba,
gusci di noci, fondi di caffè
filtri del tè, ossa, altre immondizie buone.
Rivoltare due o tre volte l’anno, piano
per riattivare il ciclo del silenzio.
Di quando in quando innaffiare, aggiungere
qualche altra scoria, emersa da uno specchio
dimenticato. Pressare a dovere
come a reprimere un singhiozzo buio,
un violino di frodo.
Poi maturare a fondo, concedere
varco al tempo, alla sua lama gentile.
Talvolta – dopo un terremoto d’anni –
vi affiora una poesia.
(*) con un pensiero a Cristina Campo
ANGELA CACCIA
Abito di me una piccola parte
né ho pezzi di ricambio,
sono fatta di un solo rigo e tutte
le pagine che mai scriverò
se ho un’anima
riposerà in qualche penna
che la purezza è inchiostro indelebile
e scrive in terza persona
mi dichiaro debitore
di ogni primavera
per quel silenzio in più
e una parola che sappia di grappolo
ANDREA CIRESOLA
Migranti
Tutti gli uomini chiedono di durare
nonostante la fatica del mare
e l’incessante urlo della tromba
nessuno di loro dimentica
le radici del baobab millenario
mentre stringe la terra in assedio
nel mondo di sotto non servono barche
il deserto è grande e immobile
l’uomo scuro è un puntino invisibile.
Fra di voi c’è l’idea
che qualcuno dimentica l’alba
dove trovano albergo i loro pensieri:
vi sbagliate!
Siete uomini incappucciati
annusate il fratello che vedete diverso
difendete il fortino di luci e diamanti
oblio di un mondo vecchio e stanco.
Perché lo seguite?
Finirà il suo viaggio
con lui finirete nel fango
che io non ho voluto
e la mia fermezza
sarà per voi un tormento
come il vento che spazza le montagne.
MICHELE FIERRO
Quando non Va
Sposto le gambe e passo,
più in là, dove non dovrei stare.
Affronto un foglio lurido, per scrivere
per provare, in un modo inutile che tanto,
più su del cielo non ci so arrivare.
Guardo volare, in alto, pensieri a caso,
quelli sabbiosi di trascuratezza,
derisi e spenti, come fuochi asciutti di strade andate
che non lasci andare.
E insisto a unire punti ed intrecciare lettere,
miscele indivisibili di parole vuote,
quelle che tanto è inutile,
non si riempiono nemmeno ad illusioni.
Mento e mi dico certo che il salto è più sicuro,
per ogni traiettoria e iperbole so che potrei atterrare,
di schiena o a scatti, in fondo,
non ha granché importanza.
L’ultimo colore stinge nel rendere speranza a un faro,
di acqua lucida,
che ha il cuore in trasparenza.
La cantilena stolta di un verso,
il sesto dito senza artigli,
il fiore coraggioso contro vento.
Qualsiasi cosa, insomma,
che io non sappia fare.
CATERINA MILESI
Il restauro
Per restaurare una porta ci vuole
pazienza: scardinare, appoggiare
a terra, prendere scalpello e pialla
cominciare a levigarla – mi segui?
Io ti seguo passo, passo e in fondo
capisco che questo è il tuo modo
di scavare negli occhi che non sai
guardare, e il tuo parlare è il suono
della carta vetrata che gratta il flatting.
Bisogna togliere via la polvere, curare
le ferite del legno, impregnarlo
con nuova vernice e cera d’api.
Chissà se è così anche con le nostre,
di ferite. Quando non c’è carta
per levigarle, ma solo carne
e un po’ di voce, per custodirle.
CLAUDIA PICCINNO
La nota irriverente
Era là…acciambellata ai suoi piedi
in ascolto partecipe
annotando quelle rune d’autunno
come fosse vangelo.
Intuiva il privilegio dell’oralità
serbando nello scrigno degli esempi
il dire e il fare,
il pane che lievita incontri,
le conserve ribollenti amore.
Si accanì la sorte
su una donna bambina
che divenne pulcino senza piume
bisognoso di passi felpati
che attutissero la corsa
di cellule impazzite.
Alcuni voli
non obbediscono alla traiettoria.
Interludio per pianoforte
tra una chemio e l’altra.
Pensiero asincrono nella nota spezzata
in quel corridoio affollato
di flebo e camici bianchi
inciampò su una
pacata melodia che fuoriusciva dai tasti
a neutralizzare un dolore
che squassava lo sterno.
E furono farfalle, ciliegi in fiore,
piedi nudi sull’erba, nuove aperture alari,
sillabe di primavera.
Ci sono eredità che si moltiplicano
sopra l’asse di equilibrio,
Dolore
e forza
e rinascita.
Io nota irriverente
fui brevettata
tra garze e manuali
per divulgare accenti di speranza.
- Scritta per evidenziare la complementarietà di musica e medicina in un processo di cura
ALESSANDRA PAGANARDI
L’uovo e la goccia
Non sono solo un lembo di mia madre
quell’ ovocellula che mi somiglia
la tonda briciola di pasta madre
nel grembo cavo che mi ha reso figlia
nelle mie vene ho una goccia di padre
la gioia d’una corsa meraviglia
la staffetta d’un gioco fatto a squadre
il mare che disseta la conchiglia
maschile e femminile in ogni storia
per ricongiungerci all’altro che siamo
ogni creatura fiore ermafrodita
nel corpo torna intera la memoria
ogni volta che va gridando ti amo
in questo ritrovarsi c’è la vita.
ANNAMARIA PELLEGRINO
Dopo il disastro
(a Alessandra Tomaselli e in memoria di Pierluigi Cappello)
Tutte le macerie del mondo in me
Anche le parole si frantumano
Nel grigio del mio cuore diroccato
Eppure nelle crepe germoglia
Inestinguibile attesa di vita
Con le finestre in alto come occhi
Spalancati a folate d’azzurro elementare
E al verde crudo della primavera
Con la porta socchiusa come un bacio
Sulle tue labbra
Quando entri.
LINA SALVI
Muoio piano
Muoio,
muoio piano,
per la vita che si calma,
per il nulla che risorge dalla pietra
che schiaccia ogni respiro
che resta contro un muro,
piano, muoio,
in sacra attesa di un approdo
contro ogni primavera
che chiede veglia, assoluzione
un sé bambina.
MARIA IVANA TREVISANI
Una donna fra le donne
Giovane donna nera,
alta e fiera,
in ebano scolpita,
che cammini a piedi nudi
sulla sabbia arroventata
sotto il peso d’una cesta
stracolma di vestiti di seta ricamata.
Gentile donna nera,
giovane straniera
giovane straniera
che ti muovi fra la gente
-che non ti degna d’un’occhiata-
mentre parla al cellulare
una lingua sconosciuta.
Tu cerchi con lo sguardo,
antilope impaurita,
un utile contatto mentre vaghi
fra gli sdrai di tela colorata.
Solo un bimbo,
attratto e incuriosito dall’insolito tuo viso,
ti segue per un tratto, offrendoti un sorriso.
Allora Tu ti fermi e accarezzi con dolcezza
quei capelli fini e biondi, ondulati come il grano,
mentre pensi ai ricci neri del tuo piccolo lontano
Ex equo
SILVIA MESSA – 3 CLASSIFICATO
Affilare il respiro…affilarmi nel buio…sono così tagliente che mi ferisco da sola, versi profondi e struggenti che arrivano come lame per rinascere nelle gemme dolci di primaveradove la poetessa diventa lei stessa respiro. In ogni sfumatura, in ogni moto dell’anima, riemerge nei versi una forza emotiva alla ricerca di un dialogo con il ricordo struggente del passato e con il cuore. Si percepisce nel testo una profonda introspezione e allo stesso tempo un bisogno di esternazione del dolore. Il linguaggio è emozionale e sensorio. Forse il bisogno di essere crisalide alla ricerca del proprio bozzolo, spinge la poetessa a sostare in una natura lieve che, come lei, attende le sue fioriture. E così anche il sogno cerca la sua guarigione, lontano dalle ferite della vita. Una recherche che conduca al ristoro della mente e dell’anima tesa alla ricongiunzione, con le lacrime agli occhi, di quegli spigoli di nuova luna.
Affilarmi
Affilare il respiro, la faccia
con spigoli di luna nuova
le lacrime agli occhi
che buchino le stelle.
Affilarmi nel buio
fino a potare più a fondo
il ramo della magnolia
e trafiggere il gelsomino
d’inverno di qualche
gelo ancora, le gemme
dolci di primavera
la mimosa in boccio
che brama pioggia e sole.
Sono così, tagliente
che mi ferisco da sola
ferite di sogni
impossibili a guarire.
DAVIDE FERRARI – 3 CLASSIFICATO EX EQUO
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
In De misericordia Davide Ferrari dà voce a un monologo che si articola in tre quadri di stampo caravaggesco ambientati, proprio come Le sette opere di misericordia, in un carcere. Ospitare i pellegrini: è questa la prima opera di misericordia messa a segno da Rosario, un carcerato-piantone che appare pronto a tutto per soccorrere i compagni: alle piaghe, / alla merda, a scucire palpebre straniere e che nel Tableaux Vivant, descritto in Visitare i pellegrini , veste i panni di un angelo misericordioso, portatore di una resurrezione iscritta sul rovescio stesso della disperazione. L’atto del Seppellire i morti è rivisitato invece attraverso la figura della Madre Misericordiosa che appare nel silenzio come statura della luce di fronte ad una tragedia familiare inaudita: il corpo del figlio fatto marmo dalla morte, ucciso, forse, proprio per volontà del fratello carcerato, ancora rapace e atroce nella perseveranza del male. La realtà del carcere, fatta di luci e di ombre, di sofferenza ma anche di gesti pietosi, ci viene restituita attraverso un linguaggio fatto di carne e sangue, reso con una grande forza espressiva, linguistica e pittorica, che colpisce il lettore per la sua intensa drammaticità.
DAVIDE FERRARI – De Misericordia
Monologo drammatico per un ergastolo
III – Visitare i carcerati
Sono stato un dipinto una volta:
ero nudo e gli attori mi hanno dato le ali,
vestito di niente non ero mai stato
e ora avevo le ali, ero un angelo immobile
intermittente, come il respiro che si piega
in una stoffa; recitavo nella testa una preghiera
per non piangere di fronte al corpo nudo
del compagno. Lo vegliavo
come si veglia un fratello,
come il piantone col suo fardello
di labbra da imboccare, docce contorte
di corpi, merda da pulire sulle mani, denti
storti da lavare, facce in cartapesta con vivi
solo gli occhi, vestiti appesi alle finestre
come un carnevale nelle gole più recondite
di una baraccopoli,
sarebbe sembrato un uomo mediocre,
se non fosse che in quell’attimo
era santo per davvero, non un San Matteo
qualunque con l’addome tatuato
senza scrupoli
e un uomo che si è fatto angelo non piange,
veglia di petto in una misericordiosa danza
librandosi da terra con l’agente della sorveglianza
ad indicare la traiettoria.
Anche lui è stato un quadro quella volta,
fatti uguali nell’abito di stoffa,
volavamo insieme, leggero, io
volavo per davvero, pensavo
alla teologia, ma non serviva,
alla giustizia riparativa,
alle scartoffie date in pasto dai compagni
da digerire in semplici elementi,
e avrei voluto dire a tutti gli uomini
che basta il teatro a vestire gli ignudi,
radunare tutti i popoli in platea,
e dire:
– Perché cercate tra i morti colui
che è vivo? Non è più qui, è volato via –
GIOVANNI SALIS 2 CLASSIFICATO
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
I due testi di Giovanni Salis colpiscono innanzitutto per la loro capacità evocativa e “cinematografica”. Bastano pochi versi, e quasi senza accorgercene ci si ritrova anche noi lettori nel caos antropologico della “city” o sulla Victoria Line, a Londra, o sulla provinciale di Barumini, dov’è l’importantissimo, “mitico” sito nuragico di Su Nuraxi. Fondate entrambe su una logica aneddotica, se le si legge una dopo l’altra Underground Lullaby e Barumini convincono proprio per la loro comune capacità di trascendere quella logica, capovolgendo la memoria dell’esperienza vissuta in occasioni di riflessioni sul tempo e sulla nostra difficile, ambivalente relazione con esso. Fugacità e durata, il breve tempo dell’esistenza umana e il tempo umanamente impossibile dell’eternità diventano così i co-protagonisti di un’avventura del pensiero che ha saputo darsi cadenza e ordine nel canto, e nelle parole che lo veicolano.
GIOVANNI SALIS
Underground Lullaby
Voce tempo mani canto
voce tempo mani canto
così ondeggi nella tua ninna-nanna
un po’ impacciata di padre, incurante
della gente ingarbugliata nel tubo
in un abbraccio che ti fa curvare
fino a diventare un corpo solocon tuo figlio
e la mano batte il tempo
e la voce ricompone nenie
lontane, parole in una lingua
sconosciuta eppure più familiare
dell’inglese mal parlato dai turisti
della city, turisti per pochi giorni
o per una vita intera.
Voce tempo mani canto
voce tempo mano canto
ancora continui quando ti lascio
sulla Victoria line ad andare
forse verso qualche sobborgo squallido
di Londra,
ma poi penso non importa
non importa dove andrai o almeno dell’amore
e in qualsiasi sobborgo dell’anima
non importerà a tuo figlio
fino a quando ancora lo cullerai
portandolo a casa con gli occhi
già chiusi aggrappato all’incoscienza
la tua voce tempo mani canto
non smetterà mai più
di essergli padre.
GIOVANNI GASTEL JUNIOR 1 CLASSIFICATO
MOTIVAZIONE DELLA GIURIAC’è una strana mescolanza di toni e di timbri, in questa poesia. Qualcosa di insolito, un quid difficilmente definibile, un “tono sottile” in forza del quale la tendenza narrativa e prosastica dei versi non affievolisce la vocazione verticale (non oseremmo dire simbolica) dell’ispirazione. Lo stile è felicemente vagabondo, e porta con sé moltissime memorie della tradizione in senso lato maudit. Nel bicentenario di Walt Whitman fa piacere leggere qualcosa che Whitman, appunto, contiene e vivifica, avendolo assorbito – quanto coscientemente o meno non importa – sia nella tessitura testuale sia nell’orizzonte immaginativo, come una sorta di linfa paterna, ancora e sempre rifertilizzante. Fra le “tasche rotte” e i “pantaloni sdruciti” dell’io poetante, le monete-stelle di questo racconto pieno di nostalgie visionarie spiccano come i correlativi oggettivi di un Bene perduto. Stelle di Tallahassee è una fiaba dolentissima sul tema ustionante dell’orfanità. E anche per questo, pur riportando sulla pagina “sogni di Novecento”, ci parla in modi convincenti dell’oggi, e della condizione umana in generale.
GIOVANNI GASTEL JUNIOR
Stelle di Tallahassee
Ho raccolto quattro stelle dal cielo di Tallahassee,
cianciavano come monete disperse nelle mie tasche rotte
le ho infilate in pantaloni sdruciti con cui marciamo, bambini,
in cerca di un giardino, di lentiggini, di sorrisi
da quei fiori miracolati riporto sogni di Novecento:
figlio di novembre, la poesia rumoreggia blasfema
e allora perché, padre, la mia stella rimane spenta?
Perché, madre, ho solo monete fuori corso?
Saldato il conto col destino, bruciano le stelle di Tallahassee
ora provo a riemergere, ma ho solo un vecchio caleidoscopio
cianciano maledetti i sepolcri polverosi mai battuti dal vento
e rimani, mater, un sogno lontano d’infanzia perduta
Eravamo in US quando parlavamo come vecchi figli
racconti appena scorsi di Capote nel temporale
piccole miss vestite per the con le torte
e tra i capelli ho piccole rondini silenziose
le stelle sopra il deserto e i vestiti dei giochi lontani
nelle tasche rotte cianciano quattro monete:
sono le sterline di questo strano mondo
come quando bambino giocavo con la polvere negli atrii luminosi
e sognavo madri felici mentre camminavo,
le mani sprofondate nella stoffa ritorta
poi a Tallahassee ho visto il greyhound passare e l’ho inseguito con un ciuffo di capelli
il vento risuonava nella campana della chiesa
e nel paese non si fece altro che parlare della guerra
mentre io giocavo, solitario, a preparare un the per la mia madre perduta
infine, tornato a casa, senza madre né altro
ho riconosciuto le stelle sopra il cranio scompigliato e
ho gridato al cielo, solitario, vendicativo
perché non avevo più stelle di firmamento nelle tasche
ma quattro monete in più: silenziose, impotenti.
Inutili, contro il cielo di Tallahassee.