
Mirabello Cultura: Pomeriggi Culturali nel Parco
Incontro con gli autori
Franco Loi e Davide Ferrari | Poesia
Presentazione dei libri di Davide Ferrari “Dei pensieri la condensa” (Manni, 2015) e “Ersilia” (Il ragazzo innocuo, 2015)
Franco Loi e Davide Ferrari dialogano con Elisabetta Motta
20 marzo ore 18 | Teatrino di Corte della Villa Reale di Monza
Letture poetiche di Gianni Salis, Lorenzo Babini, Massimiliano Mandorlo, Flaminia Cruciani, Gloria Civardi
Intermezzi musicali all’arpa di Claudia Nicola
Introduce Antonetta Carrabs
Coordina Laura Piazza
Ingresso libero
Guarda le foto dell’evento:
Foto di Alessandra Citterio
Dei pensieri la condensa
di Davide Ferrari (Manni, Lecce, 2015)
di Elisabetta Motta

Tra i giovani poeti contemporanei spinti dal desiderio di operare uno scavo nel mistero del tempo, della morte e della lingua, Davide Ferrari si distingue per la sua speciale voce. Il libro è scritto in dialetto pavese, la lingua imparata da Ersilia, la sua balia, la maestra senza scola a cui ha dedicato il libro. Ha scritto nei ringraziamenti: «Devo alla sua onestà e intelligenza questa lingua meravigliosa che mi ha insegnato nei primi anni di vita, e lo ha fatto bene, preferendola a un italiano che riteneva non padroneggiare allo stesso modo». Una lingua dunque appresa senza regole e imposizioni ma amorevolmente, lasciandosi guidare dalla magia dei suoni prima ancora che dei significati. Il dialetto costituisce per Davide Ferrari una grande ricchezza: è una lingua palpitante e viva, concreta, legata alla natura, fatta di terra e sudore. Nello stesso tempo è estremamente intuitiva e costituisce una specie di setaccio che trattiene solo le cose essenziali, facendosi veicolo di una saggezza e di una cultura popolare che è in grado di esprimere concetti anche molto difficili in modo semplice.
I testi sono preceduti dalla prefazione di Franco Loi, il quale spiega che il titolo si riferisce al fatto che la poesia è per natura contro ogni ideologia e pregiudizio, essa misteriosamente si «condensa» di fronte agli occhi in qualcosa che il poeta stesso non poteva prevedere e che sfugge anche al suo personale giudizio. Scrive Davide Ferrari:
«I parol so no mi fän a gnim in tésta,
si vegnan me un paracadute e la so grassia
giù dal ciel o tamme i sass ad l’ünivers,
cun determinassion.»
(«Non so come fanno a venirmi in testa le parole,
se vengono come un paracadute e la sua grazia
giù dal cielo o come i sassi dell’universo,
con determinazione.»)

Per informazioni sul libro si può visitare il sito delle edizioni del “Ragazzo innocuo”
Proprio come in Voci d’osteria di Loi, Davide Ferrari dà voce e lascia spazio e scena a una pluralità di personaggi, dal detenuto al sacrestano, dal bevitore d’osteria al contadino, ritratti nei vari luoghi che frequentano: la cella, la chiesa, l’osteria, i campi, i cimiteri, le strade. Essi si confessano, discutono, raccontano le loro storie e il loro tormentato rapporto con il mondo con un linguaggio spesso scurrile e osceno.
In questo gioco teatrale prospettico, disseminata fra le varie voci vi è anche quella del poeta, che non disdegna di porsi come interlocutore o come ipotetico compagno di viaggio o di bevute attorno ad un tavolo d’osteria. Nei discorsi affiora il desiderio di orientarsi, comprendere quanto si può capire del mistero della vita, interrogandosi sui nodi irrisolti dell’esistenza: il tempo, il rapporto fra l’umano e il divino, la morte.
A questi temi corrispondono le tre sezioni in cui è diviso il libro: Al temp, I Sänt, La mort, tutte precedute da citazioni tratte dai Quattro quartetti di Eliot.

La meditazione sull’origine del tempo e sulla modalità secondo cui esso si rigenera ricombinando le scansioni (passato, presente, futuro), rendendo tale tassonomia inutile o inefficace a raccontare la condizione umana, è condotta a partire da una citazione tratta dal Primo dei Quattro quartetti: «E la fine e il principio erano sempre lì/ prima del principio e dopo la fine./ E tutto è sempre ora.»(I Tempo).
In una vita sempre uguale a se stessa, in cui a dominare è spesso la tristezza o peggio ancora la noia, in cui l’orizzonte appare incerto e da negoziare costantemente, la sola sicurezza è quella del dubbio, il non cessare mai di farsi domande, il cercare di comprendere quel poco che c’è dato di sapere.
Segue dunque la sezione I Sänt, che comprende, secondo la definizione eliotiana, tutti coloro che sono occupati a «comprender/ il punto d’intersezione del senza tempo/ col tempo» (V Tempo). Per capire appieno il significato di questa citazione bisogna in realtà spingersi oltre nella lettura dei versi di Eliot, il quale aggiunge: «E nemmeno un’occupazione, ma qualcosa ch’ è dato/ e tolto in un annientamento di tutta la vita nell’amore … » La vera conoscenza infatti non può avvenire attraverso la scienza o la tecnologia ma solo attraverso l’amore, in un rapporto simpatetico con l’esperienza. A tal proposito Davide Ferrari scrive:
«La tecnulugia, ’l prugress, l’infurmassion
i cüntan un queicoss,’s pö dì insì,
ma la cunuscienza l’è par quei
ca sän riparà l’anima e la ment.»
(«La tecnologia, il progresso, l’informazione
contano qualcosa, si può dir così,
ma la conoscenza è per quelli che sanno riparare l’anima e la mente».)
Non deve stupire dunque che fra I Sänt vi sia anche la figura del poeta, che non può immaginare e vivere il problema dell’incarnazione (ovvero l’incontro fra la presenza di Dio nel creato e la sensibilità umana nel e del tempo), se non attraverso la parola. Egli infatti può dirsi veramente tale solo se avverte nella modalità dello scrivere una esperienza del divino, quando realizza di essere dantescamente un veicolo o per usare le parole di Rimbaud un posseduto:
«Ti t’sé vün, ma mi g’ho dentr’un altar
ca’l ma möva a mövam no.
Al ma dis quel ca g’ho da dì
sensa dì gnent e gh’è nänca un not
ca ’l dorma e ca’l ma lassa chiét.
E mi am fo in quatar par truà la vöia
’d levà sü dal let e dig da lassam stà.
Ma intänt che mi do i urdin
l’ha giamò finì ad detà»
(«Tu sei uno, ma io ho dentro un altro
che mi muove a non muovermi.
Mi dice quello che devo dire
senza dire niente e non c’è neanche una notte
che dorma e mi lasci quieto.
E io mi faccio in quattro per trovare la voglia
di alzarmi dal letto e dirgli di lasciarmi stare.
Ma intanto che io do gli ordini
ha già finito di dettare.»)
Scrivere per Davide Ferrari è qualcosa di più che conservare la voce profonda della vita, è, come ha scritto nel componimento intitolato Ersilia, «fa l’anima incarnà/ in d’la memoria d’un queicoss» («fare l’anima incarnata/ nella memoria di qualcosa»).
Il desiderio di conoscenza lo porta a operare uno scavo continuo, alla ricerca di un senso:
«’l prublema
l’è fidass e trà ’l nas in di rob, giù
in prufundità.
E püssè ‘l büs l’è prufund
e men al temp al fa fadiga a fa
’l so curs.»
(«Il problema
è fidarsi e mettere il naso nelle cose, giù
in profondità.
E più il buco è profondo
e meno il tempo fa fatica a fare
il suo corso.»)
Mentre il poeta è impegnato in questa operazione assidua di ricerca, i personaggi che vivono al suo fianco, avvolti nel medesimo mistero, sperimentano la loro incapacità di misurarsi con esso. Il ritratto che si “condensa” di fronte ai nostri occhi, per bocca e per tramite delle loro azioni è quello di una società malata, in cui vi è egoismo, assenza di pietas. La povertà fisica si accompagna a quella spirituale e la distruzione dei legami familiari, solidali, religiosi lascia il posto alla desolazione o peggio ancora all’inferno. Dichiara uno dei personaggi:
«Mi l’infèran la cugnussi: l’è no/tra i dént dal diàul o in d’un mund divèrs
dal noss dumà un po’ püssè cald.
Guma l’nfèran in dla sacocia
d’i calson, in d’i schegg ad la memoria
ingarbüià in més ai cuion,
in dìi occ d’un altar ca’na veda no.»
(«Io l’inferno lo conosco: non è
tra i denti del diavolo o in un mondo diverso
dal nostro solo un po’ più caldo.
Abbiamo l’inferno nella tasca
dei pantaloni, nelle schegge della memoria
ingarbugliate in mezzo ai coglioni,
negli occhi di un altro che non ci vede.»)
L’uomo, che a causa del progresso e della tecnologia si è allontanato dalla natura, non sa più interpretarne i segni né seguirne i ritmi e vive in affanno continuo. In un componimento in cui è evidente il richiamo a Leopardi, la luna lamenta il fatto che gli uomini per darle un’occhiata trovano tempo sì e no una volta all’anno e dice con un po’ di pena:
«È passà insì tänta temp,
mi son sempar chì
e chi por diaul, ca ien insì brav a cur,
han namò capì un bel gnent
dal mutur ca möva al mund.»
(«È passato così tanto tempo,
io sono sempre qui,
e quei poveri diavoli, che sono così bravi a correre,
non hanno ancora capito niente
del motore che muove il mondo.»)
C’è chi sottolinea il fatto che le prediche dei sacerdoti sono così tirate per le lunghe che si perde il senso del discorso e quel che resta è l’intraducibile silenzio. Un altro dichiara:
«Mi drövi i pagin ad la Bibbia
par netàm al cü.
Ièn insì fin ca m’pias.
Ma certi volt gh’è una parola
o un’altra un po’ trop értiga,
e mi so no’l parchè,
chi certi volt, m’fa un po’ mal.
Però non in dal cü,
da un’altra part.»
(«Io uso le pagine della Bibbia
per pulirmi il culo. Sono così fini che mi piace. Ma certe volte c’ è una parola
o un’altra un po’ troppo spessa, e io non so il perché,
quelle certe volte, mi fa un po’ male.
Però non nel culo
da un’altra parte.»)
Di fronte dunque alla partita finale, quella con la morte, affrontata nell’ultima sezione, La mort, l’uomo non sa trovare le parole per parlarne, perché non sa utilizzare il linguaggio della preghiera, l’unico possibile. Solo i morti sanno farlo poiché, come scrive Eliot: «La comunicazione / dei morti è avvolta in lingue/ di fuoco al di là del linguaggio dei/ vivi» (I Tempo). C’è chi allora tra i vari personaggi di fronte alla morte cerca di ingannarla, ricorrendo al fatto che, come ci ricorda Jung, “si è tanti in uno”.
«Mi son vün che vün me mi gh’né mia
parchè m’inventi un num divers un dì
par l’altar,che quänd, ad nott, la mort la
m’ciama, la tröva sempr’un altar
in dal mè pigiama.»
(«Io sono uno che non c’è un altro come me
perché mi invento un nome diverso un giorn
per l’altro, che quando, di notte, la morte mi
chiama, trova sempre un altro
dentro il mio pigiama.»)
C’è chi tenta di ricorrere alle tante facce che abbiamo, scomposti in una molteplicità che ricorda l’avanguardia cubista:
«I tò facc ien bei fintänt ca tàsat.
Ma quänd una parola la t’vegna föra no
e t’la négat déntar, i to facc
piän piän i möran.»
(«Le tue facce sono belle finché taci.
Ma quando una parola non ti esce e te la neghi dentro, le tue facce
piano piano muoiono.»)
Qualunque escamotage si trovi, la morte incombe sempre e fa paura, per questo i protagonisti del componimento che chiude la raccolta, ambientato in un cimitero lituano, credendo di vedere la morte in faccia, se la danno a gambe in ritirata.
Solo giungendo ad una nuova visione della morte e delle vita, non più in contrasto ma basata sulla coincidentia oppositorum, così come nel finale eliotiano dei Quattro quartetti («quando le lingue di fuoco si incurvino/ nel nodo di fuoco in corona/ e il fuoco e la rosa siano uno»), si può giungere alla salvezza in virtù dell’amore.
Ma ai personaggi messi in scena da Davide Ferrari sembrano sempre venir meno il coraggio, l’amore e la fede necessari per poter credere che la morte non è la fine di tutto ma, come nel finale di East Coker, può costituire un nuovo inizio («Nella mia fine è il mio principio.»)
–Pubblicato su Rivista Clandestino 11 marzo 2016 Elisabetta Motta
Notizia sugli autori

Franco Loi
È nato a Genova nel 1930 e nel ’37 si è trasferito con la famiglia a Milano, dove ha praticato diversi tipi di lavori fino ad approdare nel 1960 all’ufficio stampa della Mondadori. Nel 1973 esce la sua prima raccolta di poesie, I cart, e nel 1975 Einaudi pubblica il poema Stròlegh, con prefazione di Franco Fortini, seguito dal poema Teater e dalla raccolta L’aria. Tra i tanti libri pubblicati: Bach(1968), Liber (1988), Umber(1993), L’angel (1994), Amur del temp (2000), Isman(2002), Aquabella (2004), Angel de aria(2011), I Niül (2012) e la scelta delle poesie Aria della memoria (2005). Lader de Diu (Quando Dio canta), edizini Multilibri, 2013. Ha inoltre dato alle stampe il libro di racconti L’ampiezza del cielo, la raccolta di saggi Diario breve e la sua biografia Da bambino il cielo, a cura di Mauro Raimondi (2011)

Davide Ferrari
È nato a Pavia nel 1983 e abita a Verrua Po.
Poeta, regista, attore, ha pubblicato le raccolte poetiche: La cenere dei Bordi, Subway Edizioni (2013), il poemetto Eppure c’è una meta per quel fiato di universo, Subway Edizioni (2014) , Dei pensieri la condensa, Manni, 2015. Si occupa di teatro, scrittura creativa, poesia e formazione presso enti privati e pubblici. Conduce laboratori di teatro e scrittura creativa con i detenuti della Casa Circondariale di Pavia e di Voghera dove dirige la compagnia Maliminori composta da attori detenuti (compagnia maliminori). È docente di scrittura creativa presso IED (Istituto Europeo di Design di Milano). Lavora con il drammaturgo Edoardo Erba nell’agenzia APTA (Agenzia Per la Traduzione d’Autore).
Le foto di Franco Loi e Davide Ferrari sono di Alessia Bottaccio
Letture poetiche

Gianni Salis
È nato a Seneghe nel 1976. Diplomato in pianoforte, si è successivamente dedicato alla musicologia, laureandosi a Milano e poi conseguendo un dottorato di ricerca all’università di Bologna. I suoi principali campi di ricerca riguardano i rapporti tra poesia e musica (in particolare nel primo Novecento italiano) e la musica sacra del tardo Cinquecento. Scrive – di musica e di poesia – su alcune riviste online (cultweek.com; La poesia e i giorni). Insegna musica nella scuola secondaria. Partecipa attivamente a vari eventi e festival di poesia; nel 2013 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, A santificare l’asfalto (Subway Edizioni).

Lorenzo Babini
Lorenzo Babini è nato a Ravenna ma vive e lavora a Milano, dove si è laureato in Filologia Moderna. Ha collaborato con riviste di letteratura e case e editrici come critico e traduttore. Per la poesia ha vinto il premio Violani Landi 2014 e Le stanze del Tempo 2015. Ha pubblicato una raccolta poetica Santa Ricchezza, Carta Canta editore, 2016

Massimiliano Mandorlo
Massimiliano Mandorlo è nato a Cattolica (Rimini) nel 1983. Laureato in Lettere Moderne a Bologna e Milano, si è occupato soprattutto di Luzi e Zanzotto, pubblicando parte del carteggio inedito tra i due autori. È attualmente bibliotecario per la Biblioteca di Ateneo dell’Università Cattolica di Milano. Nel 2005 ha vinto il Premio di poesia Violani Landi nella sezione inediti. Collabora con varie riviste italiane e internazionali. Recensioni ai suoi testi sono apparse su “Testo”, “Poesia”, “Atelier”, “Subway” ed alcune poesie sono state tradotte in varie lingue sulla rivista on-line “SèrieAlfa”- Ha organizzato e partecipato a reading in Italia e all’estero (tra cui a Maiorca per “Poesia dins la mar. Contactes poètics Itàlia – Països Catalans”). Ha pubblicato per le edizioni Alla chiara fonte: Mareoltre (2009) e Cascina con nebbia con quattro disegni di William Congdon (2011) e per Raffaelli editore Luce evento (2012), con prefazione di Uberto Motta. Ha curato l’antologia Davanti agli occhi c’è un ponte (Alla chiara fonte, 2015) e tradotto dall’inglese alcuni poeti australiani per “Poesia”.

Flaminia Cruciani
Romana, si ė laureata in “Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico”, presso “Sapienza Università di Roma” e ha poi conseguito il Dottorato di Ricerca in “Archeologia Orientale”. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo a Ebla in Siria nella “Missione archeologica italiana a Ebla”. Ha poi conseguito una seconda laurea in “Storia dell’arte”. Si è specializzata, inoltre, in Discipline Analogiche, conseguendo il titolo di Analogista. Nel 2008 ha pubblicato “Sorso di Notte Potabile”, ed. LietoColle. Nel 2015 Lapidarium, ed. Puntoacapo. Di prossima pubblicazione, per i tipi di Campanotto Editore, è Semiotica del male. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie, fra cui la recente 42 voci per la pace, ed. Nomos. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. Ha aderito al movimento mitomodernista, è tra i fondatori e gli ideatori del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia.

Gloria Civardi
Classe 1974, appassionata di viaggi, lingue straniere, letteratura e racconti di viaggio in particolare, ho cercato in vari modi per quanto possibile di assecondare questi e altri interessi. E un po’ come un viaggio di scoperta ho considerato anche l’esperienza di vari anni in ambito teatrale, con approfondimenti e corsi di dizione e recitazione presso alcune scuole di Milano, tra cui la Scuola di Teatro Quelli di Grock. La partecipazione a seminari di teatro e scrittura ha alimentato il desiderio di dedicare più tempo ed energie alla forma di espressione che forse mi è più congeniale: scrivere.

Coordina Laura Piazza
Laura Piazza è nata a Siracusa nel 1985, si diploma nel 2012 all’Accademia d’Arte del Dramma Antico dell’INDA. Ha lavorato con molti importanti registi, da Albertazzi a Calenda, da Carmelo Rifici a Claudio Longhi. Attualmente è in scena con il monologo Ghertrudala mamma di A. di Davide Rondoni, per la regia di Filippo Renda, prodotto dal Teatro Stabile di Brescia. Da sempre interessata al rapporto tra teatro e poesia, cura dal dicembre 2014, con Davide Rondoni, la rassegna “La poesia e la fontana”, presso il Teatro Sala Fontana di Milano. È dottore di ricerca in Italianistica e collabora con il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania in qualità di cultrice di Discipline dello Spettacolo. Oltre a vari saggi e interventi, ha pubblicato il volume Il Gesto, la parola, il rito. Il teatro di Mario Luzi, prima monografia sulla drammaturgia luziana (Premio Centro Studi Mario Luzi 2015). Al momento attende a una monografia, commissionata dalla Fondazione Teatro della Toscana, sulla Teoria della Parola e sul Metodo Mimico di Orazio Costa.

Intermezzo all’arpa di Claudia Nicola
Claudia Nicola, nata a Rho nel 1988, si avvicina alla musica all’età di sette anni grazie allo studio del violino. L’anno successivo, sotto la guida di Madre Maria Belinda Church, inizia lo studio dell’arpa che prosegue presso l’ISSM Conservatorio “G. Cantelli” di Novara diplomandosi brillantemente nel 2009 sotto la guida del M° Maria Luisa Bona e prendendo il diploma di secondo livello specialistico nel marzo del 2014. Attualmente insegnante di propedeutica musicale e di arpa presso diverse accademie e di educazione musicale presso le scuole elementari, mantiene attiva un’attività concertistica sia come solista, sia in formazioni cameristiche ed orchestrali.