Luisa Ravezzani
con il testo “Piccolo (e incompleto) sillabario per un giardino selvatico”
“Il bello del giardinaggio: le mani nello sporco, la testa baciata dal sole, il cuore vicino alla natura. Coltivare un giardino non significa nutrire solo il corpo, ma anche l’anima”. Questa citazione di Alfred Austen potrebbe ben essere posta in esergo al Piccolo (e incompleto) sillabario per un giardino selvatico di Luisa Ravezzani, un sillabario in cui le singolari voci che lo compongono danno figura a un imprevedibile microcosmo fatto di piante, fiori, immagini e concetti, stretti in un fascio di grande eleganza stilistica, ravvisato da un convincente e poeticissimo afflato allegorico.
La lucida attitudine alla descrizione naturalistica si sposa con una grande capacità di osservazione e una capillare percettività dei sensi, al servizio di una parola capace di accendersi, a sua volta, in improvvise fioriture. Difficile, l’esercizio di una forma micro-narrativa così essenziale. Difficile ma in questo caso prodigo di frutti.
Estratti dall’elaborato:
Bulbo
Ogni bulbo è onomatopeicamente esplosivo ma biologicamente quieto e silente. Nel suo essere in sé racchiude la propria forza. Trascorre meditabondo buona parte dell’anno, tra il poco visibile e l’invisibile, progettando bulbilli. Quando il tepore della luce prepara il grande schermo, solo allora si concede e proietta verso l’alto i propri sogni migliori, ma senza fare scalpore, con la classe di un elegante nottambulo.
Calicanto
Come schegge d’alabastro sono i turgidi petali del calicanto. Come raggi di una piccola stella dal piccolo cuore rosso. Quando il bocciolo cerca il coraggio di aprirsi al sole pallido e ai rigori dell’inverno, i petali, spossati dalla fatica, si presentano raccolti e reclinati verso il basso, formando una frangia ben acconciata, che sembra fatta apposta per nascondere il timore e l’ultimo pudore. Poi è l’imprevedibile mondo del possibile: un profumo denso, compatto, tanto da sembrare colorato, del colore delle fiabe o della narrazione epica.
Nelle fredde giornate dell’ultimo inverno il profumo vischioso del calicanto sa penetrare nei più remoti recessi della memoria e, calmo magma, si muove diventando racconto.
Iris
La complessità dell’iris è tale da indurre fraintendimenti.
Sontuosa, così appare nelle forme morbide, nei colori ricercati, nella varietà delle sensazioni tattili che sa offrire, nell’intensità del profumo.
Delicata, nella leggera consistenza del fiore, nell’aerea struttura dei petali che non sono tali e dei quali i botanici sanno distinguere le molte tenere parti dalle diverse funzioni.
Vulnerabile, anche a una leggera pressione delle dita e destinata a cadere a un appena marcato soffio di vento.
Ma resistente, capace di continuare la fioritura anche prostrata a terra, sempre pronta a sopportare la siccità dell’estate come il gelo invernale, con i forti rizomi che spesso affiorano in superficie, quasi noncuranti di ricercare nutrimento in profondità.
Può apparire superba l’iris nell’ostentare l’invito alla sfida, ma a renderla tale è solamente la forza dell’accortezza, la tranquilla accortezza del prudente e saggio procedere, finalizzato a una realizzazione di pura magnificenza, di cui molti possano godere.
Ospite
Il giardino è un luogo chiuso. Un contenitore che chiede di essere colmato.
Di bellezza.
Profonda e alta bellezza.
Fatta di luce.
Ben poco però viene riservato a chi misura con i passi, a chi pesa con le braccia, a chi allinea con le mani, a chi fa arco con la schiena.
Il giardino dona solamente a colui che, in quel luogo, giunge per essere ricevuto. Come ospite devoto e timoroso.
Davanti all’ospite viene sospeso ogni rumore, a lui si cingono le ginocchia, dopo aver offerto l’angolo migliore in cui sostare.
Per godere della frescura, del velluto dell’ombra, della seta dell’acqua, mentre un soffio sulla pelle distoglie dal riverbero caldo. Le mani a scostare i capelli dalla nuca, i piedi a scostare l’erba. Piano, che la cicala smette di frinire. Nell’ora delle ombre corte gli occhi si chiudono e i pensieri giocano a inseguirsi leggeri tra i cespugli immaginati.
Senza pensare forte, perché nel giardino i pensieri fanno eco, disturbando il silenzio dei corpi che si ascoltano respirare.