Giuseppe Provenzale
con il testo “Omaggio a Claus Von Stauffenberg”
Motivazioni della Giuria:
Forte, febbrile, tragicissimo, pieno di ripidi “spaccati narrativi” che hanno insieme l’urgenza della testimonianza e la qualità veritativa della parola (ben scritta). Queste in estrema sintesi le peculiarità di “Omaggio a Claus Von Stauffenberg”.
Un omaggio che Giuseppe Provenzale rivolge al più celebre degli attentatori di Hitler, parlando non già di lui, che nel racconto non compare, ma dell’orrore che avrebbe potuto prevenire, eliminandone l’artefice.
Di questo testo bruciante, toccante e pieno di risonanze, si coglie in particolare l’insistenza sul tema della speranza, che qui è letteralmente l’ultima a morire: l’appiglio da opporre allo strapotere del male.
Estratti dall’elaborato:
“Mamma perché siamo ebrei?”
L’ho sentito con le mie orecchie che ancora non sentono sentiranno le mie urla.
Ho visto genti mai più persone costrette a partire per luoghi da cui non si ritorna. Banche svaligiate e brindisi con champagne altrui; botteghe svuotate, porte spalancate a forza per riempire tasche e carri. Non ci si può opporre.
[…]
“Mamma perché siamo ebrei?”
Cosa rispondi a tuo figlio? L’angoscia fa impazzire il cuore: armi spianate e cani feroci costringono a salire su un lurido vagone, sporco anche per animali da macello.
Gommoni.
Lasciare la propria casa ed essere subito umiliati non può chiamarsi disperazione. Urge un vocabolo nuovo e un mostro che la pronunci; che giustifichi un pugno alzato contro il cielo mentre le ginocchia si piegano ad invocare il Perdono.
“Tesorino mio, questo treno ci porta in vacanza. Di là dalle montagne con la neve e il freddo c’è il mare e la sabbia calda […]”
“Papà perché non lo dici anche a loro? Così non piangeranno più per i loro vestiti. Dì loro che dopo esserci lavati ne avremo di nuovi e puliti… che dietro quella porta di ferro e cattivo odore un altro treno ci riporterà a casa…”
L’amore è sofferenza. Gli sfortunati non morti di stenti dolore infarto, sono contenti che il treno si fermi. Aria, anche neve e fango vanno bene, spazio…
[…]
“Diamogli qualche metro d’illusione, prima dei nostri centimetri di carne.” Dove?
Le più belle ragazze, i ragazzi, i bambini, appetibili perché nuovi, sempre nuovi maledettamente nuovi e maledettamente vulnerabili nella loro qualche speranza.
La prima sera implorano – tra i ceffoni e il ghigno – madri e misericordia.
“Diamogli qualche metro d’illusione di fuga, prima dei nostri centimetri di carne.” Dove?
“Caccia e preda. Sarà più divertente inchiodarli sul letto delle sproporzioni”. La bimba più piccola e il soldato più grosso.
[…]
Forbici senza anestesie, lame affilate, aghi e filo da sutura per gli ancor più sfortunati, chi li ascolterà? senza un grido da poter raccontare a nessuno. Il terrore senza scampo ogni mattina all’arrivo dei camici bianchi.
Per noi siete carne viva, sangue e budella.
[…]
Anche quelli della Staffetta quattroperquattrocento.
Come punire i quattro giovani che avevano osato battere l’olimpica germanica? Quattro ragazzi per quattrocento soldati, per quattro giorni.
Anche i soldati sono derubati dei loro venti anni, lividi d’essere lì in quella divisa sognata per ben altre battaglie. Invece marciscono a guardia di quella gentaglia… Carcerati, senza potersi allontanare da quel luogo di morte, dai mucchi di cadaveri a vista e monito, davanti a forche ultima culla non sento più il male delle torture, non potete ammazzarmi che una volta, grazie di quest’altra luce degli illusi ancora in forze per tentare una fuga.
[…]
I forni – modernissimi dicono tutti – puzzano dai camini scansati anche dagli uccelli.
Ci portano “lì”? Almeno finirà la sete e il caldo,
le cimici e l’odore di merda.
La tosse e la febbre si scioglieranno nel sonno che il corpo desidera, nella musica che non è ricordo.
Cesserà l’angoscia e la fame dei miei figli e maledetto quando li ho ammessi al mondo e alla speranza.
Con i miei occhi l’ho vista.
La ragazza innamorata del proprio carnefice. Con quegli occhi l’ho vista guardare per l’ultima volta da lontano e in riga il suo amore immaginato. Ancora più bello di tre quarti, in quella divisa colore della morte annunciata. Con quegli occhi la ricordo.
Allucinati – e sembravano felici quelli dell’uomo che apriva la sua fila, mormorando la partitura per violino del Triplo Concerto di Beethoven.
“Signore Iddio pietà. Misericordia per tutti, sempre.”
E chi implora aiuto e pietà ad un cielo senza risposte? Esisterà più la poesia e ciò che è caro ai sentimenti?
“Stammi dietro, con il mio corpo ti coprirò i seni. Fissa solo la mia nuca, appoggiati a me”. Non vedrai la porta della camera a gas, non sarai piegata da miserabile vecchiaia.