24 novembre 2016 ore 18.00
Rassegna Mirabello Cultura
Villa Reale di Monza
Primo Piano Nobile -Salotto Letterario Regina Margherita
Giancarlo Pontiggia dialoga con Francesco Napoli intorno alla raccolta poetica Origini (Interlinea, 2015
Elisabetta Motta presenta l’ultima novità editoriale di Giancarlo Pontiggia, la plaquette d’arte Stanze della mente invasa, (Il Ragazzo innocuo, 2016)
Nota critica di Elisabetta Motta a Stanze della mente invasa di Giancarlo Pontiggia (Edizioni d’arte Il Ragazzo innocuo, 2016)
Limpidi e febbrili, icastici e visionari, i versi di Stanze della mente invasa ci riconducono nelle regioni remote del pensiero, verso le origini del mondo e della vita, al quid che unisce presenze e rovine. Stupefatto del mistero che ci sopravanza e che si rivela nella forma di un’apocalisse cosmica, Pontiggia scrive nel testo di apertura: «Rovine, trombe, quando /chi siede, in un giardino/ di pensieri e di aranci, sente/ all’improvviso un urto, scricchia/ il terso dei cieli, s’incavedia/ il lume della vita-arco, stame // sfinge». È un momento epifanico in cui il poeta avverte che il compito che gli è stato affidato è quello di andare al di là delle apparenze, svelare i segni e i simboli di cui si compone il reale, avvicinando lontananze che paiono irriducibili, per ricondurci a quell’unità profonda di spirito e vita che è andata perduta e a cui aneliamo. E mentre prende coscienza dell’ importanza di questa sua missione, nello stesso tempo ne denuncia la difficoltà, poiché il flusso incontrollato e sovrabbondante di informazioni e di notizie che invadono la mente, ridotta a «brandelli», ha come effetto quello di paralizzare la facoltà immaginativa, dando vita a «metafore cieche,/ inesplicabili» o a forme e figure che si inceneriscono da sole. Non solo è ardua la visione, ma diviene difficile perfino il generare parole che siano vitali. Pur sapendo che nessuna forma di resistenza concessa agli uomini potrà mai davvero salvarli dalla morte né opporsi all’inesorabile trascorrere del tempo, tuttavia la poesia sembra costituire l’unico atto di vitalità in grado di offrire illuminazioni, barlumi, «barbagli/ di gemme/ nella roccia della mente» e di dar vita a una parola di ricostituzione, di rigenerazione, attraverso la quale si è condotti quasi come in sogno verso verità da custodire. Per questo non ha tregua il bisogno del poeta di ricercare quella parola-scintilla che tra la cenere sia capace di bruciare il «fogliame sonnolento di preci» o di affidarsi alla forza dei sogni, visti non come ombre sbiadite ma come riflessi parlanti e icastici della vita vissuta, che trovano la loro casa in un «anfratto» di versi. La similitudine presente nel secondo componimento-«Si accendono / le stanze della mente/ come l’alabastro al fuoco di una candela»- contiene un’immagine archetipica e di ascendenza dantesca (Par. XV, 22-24) che si fonda sull’idea che la poesia è un antico fuoco che scalda, nutre e illumina la vita, ma non direttamente, bensì dietro la bianchezza e trasparenza dell’alabastro, senza che si possano distinguere gli esatti contorni della fiamma, che crea un confine mobile fra luce e ombra. E questo in analogia con la parola poetica di Pontiggia che, muovendosi lungo quello stesso confine, opera uno scavo alla ricerca delle proprie radici d’ombra e delle proprie riserve di luce.
Chiamato ad esprimersi anche con un linguaggio altro rispetto alla parola poetica, affidandosi al procedimento alchemico dell’arte incisoria, Pontiggia è riuscito a restituirci tradotte in immagini le parole che da sempre invoca, fatte di vento e di fuoco, di roccia e di metallo, di suono e di colore, di acqua e di aria. L’incisione che ha realizzato e che nel libro d’arte accompagna i suoi versi, sembra infatti costituire una sorta di correlativo oggettivo dentro il quale si rispecchia la sua poetica. Realizzata con una tecnica mista (ceramolle/ acquaforte/ acquatinta) essa riproduce un bosco costituito da un intrico di rami, di tronchi gementi sotto l’urto del vento, di foglie: sciami fuggenti di pensieri, fili umidi di memoria, un viluppo di preghiere, sogni, lacrime in cui si nascondono gemme o semi ancora da schiudersi, punti di luce, tracce di sacre presenze.
Rovine, trombe, quando
Rovine, trombe, quando
chi siede, in un giardino
di pensieri e di aranci, sente
all’improvviso un urto, scricchia
il terso dei cieli, s’incavedia
il lume della vita – arco, stamesfinge
Si accendono
Si accendono
le stanze della mente
come l’alabastro al fuoco di una candela.Piove da due notti.
Briciole, barbagli
Restano solo metafore cieche
Restano solo metafore cieche,
inesplicabili – barbagli
di gemme
nella roccia della mente
Sugli stampi
Sugli stampi
– tenui, corrosi, rarefatti –
del mondo
brandelli di una mente invasacrivelli, vagli
Un fogliame sonnolento di preci
Un fogliame sonnolento di preci
qualcuno le dice
un altro le sogna
in un anfratto di questiversi
E credono che il tempo sia molto
E credono che il tempo sia molto
ed è poco,
e si muore per nientee c’è chi è già morto, e non lo sa
e muore due volte
GIANCARLO PONTIGGIA è nato a Seregno nel 1952 e vive a Milano. Ha pubblicato due raccolte poetiche: Con parole remote, Guanda (1998); Bosco del tempo, Guanda (2005), un testo teatrale: Stazioni, Nuove Edizioni Magenta (2010) e in ambito saggistico tre volumi: Esercizi di resistenza e di passione, Medusa (2002); Selve letterarie, Moretti & Vitali (2006); Lo stadio di Nemea, Moretti & Vitali (2013). È del 2014 una raccolta di interviste, Undici dialoghi sulla poesia, edita da La Vita Felice. Traduce dal francese (Sade, Céline, Mallarmé, Valéry, Supervielle, Bonnefoy) e dalle lingue classiche (Pindaro, Sallustio, Rutilio Namaziano, Disticha Catonis). L’intera produzione poetica è stata pubblicata recentemente (2015) per l’editore Interlinea con il titolo Origini.