
Vincitori del Premio Letterario Isabella Morra 2020 | Testi e motivazioni della Giuria
Premio Letterario Isabella Morra – X edizione dedicata ad Ada Negri
Pubblichiamo i testi vincitori e le motivazioni della Giuria composta da Antonetta Carrabs fondatrice del Premio, Guido Oldani Presidente Onorario, Elisabetta Motta Presidente di giuria, Iride Enza Funari, Andrea Galgano, Massimo Morasso, Gianna Parri, Donatella Bisutti.
Sezione Adulti – Testo poetico inedito in lingua italiana
1^ classificato: Valentino Fossati con il testo Giorno d’ Avvento e con due estratti dalla silloge Perché saranno neve
Giorno d’Avvento
I figli caduti poco prima delle madri
solo ora troveranno la quiete
se ritorni poi, se non ritorni
traversando le luci sbilenche
(già dicembre)
il cancello, i corridoi, le stanze bluastre
di là, sempre
il desiderio nostro.
Ho percorso l’Aurelia in un giorno d’Avvento
tra Finale e Spotorno, per sollevarti dalla tormenta
quando il tunnel è breve
(dove i vicoli le stagioni bianche, il viaggio di nozze
la prima comunione …) …
Ad un soffio dal dirti
cos’è – davvero – precipitare nel sogno
dopo l’amore infinito consegnarti alla neve
Motivazioni della Giuria
I testi fanno parte di un poemetto il che li valorizza come elementi di una struttura più ampia e articolata e colpiscono per una davvero insolita qualità formale, ricca di una particolare sapienza ritmica. Qui il ritmo è doppiamente e simultaneamente presente sia sul piano metrico fonico sia su quello visuale, il che non è maestria da poco. Le pagine hanno un loro impatto visuale, grafico che inserisce le parole nella dimensione dello spazio, inoltrandosi in varie direzioni nel bianco silenzio della pagina e facendole apparire come squarci, o balenanti spiragli di questo silenzio: un tipo di ricerca che ci richiama alla memoria certe composizioni di Luzi o del poeta francese Edmond Jabès. Mentre la valenza fonica dei versi segue, al di là delle spezzature, dei vuoti e delle forme ellittiche, un suo movimento in qualche modo cantilenante, sottolineato dalle rime e dalle assonanze, anch’esse sapienti, che, valendosi delle numerose immagini ossimoriche, situa questi testi in una dimensione in qualche modo rarefatta e immobile in cui il passato e il presente vengono posti sullo stesso piano. Questo contribuisce a dare ai testi di Valentino Fossati un particolare sapore onirico, simboleggiato dalla neve, che tuttavia, lacerato da improvvise trafitture, diventa espressionismo surreale, nell’accezione questa volta di una neve-morte.
Donatella Bisutti
2^ classificato: Luigi Cannone
Ad ogni passo, ad ogni uguale morte
È bene farfugliare qualche cosa
Di vero ed altre volte poi la vita,
il dietro delle case ed altri sogni
ad inseguirci ai bordi di noi stessi,
a farci nascere, a prenderci in braccio
come ricordi, come arresi doni
all’aria e al vuoto. Intanto piove piano
dentro alla sera sorda e più lontano.
*
Siamo stati qui, testimoni assenti
D’un altro dissolversi, d’altri luoghi
Oltre i muri di parole insensate
E quando il corpo muore un nuovo inizio
Così come per vivere daccapo
Il libro cade e non è nulla il tempo,
l’immagine di noi che camminiamo
sul lastrico lavato dalla pioggia.
Occorre la notte per poco ancora,
l’esattezza dell’attimo che cede
a quel che si ripete e mai succede.
*
Dove sono nell’infinita fuga
Da me stesso, padre, madre, lucertola
Al sole, dove si consuma il tempo,
la nostra carne all’anima che tace.
Ci fosse la maniera di saperlo
Sarebbe adesso il cielo d’ogni Dio,
in questo respiro, in queste parole
e larghi cerchi d’acqua e brevi istanti
a cui tutto s’aggrappa e utto cede.
Quello che sono in fondo mi precede.
Motivazioni della Giuria
La poesia di Luigi Cannone sonda i bordi del linguaggio, trovando la pura torsione della lingua e della lontananza. Esponendo il proprio magma, Cannone abita e visita un territorio ampio, una dimensione dell’umano e del tempo che avvertono il valore profondo del destino (o meglio, della destinazione) e del quotidiano sipario di amore, dolore e visione come segni esatti. Nello spazio gremito dell’esistenza, la poesia di Cannone ci arriva da una forza dolente e luminosa che lucida la parola con forza e densità musaica.
Andrea Galgano
Luigi Cannone secondo classificato mentre riceve il premio da Antonetta Carrabs e dal sindaco Dario Allevi
3^ classificato: Marco Pelliccioli con i testi Un’altra primavera, Via Pietro Maroncelli, Via Pesa del lino
Un’altra primavera
20 marzo 2020
Piazza San Paolo, Monza
Come è strana quest’altra primavera
con le sembianze di una nuova era,
i boccioli fioriscono sui rami
nel rumore assordante delle suole, dei pedali,
di sirene che d’un colpo ci fanno tremare,
come le foglie dondolanti, forse indifferenti, sui rami ancora spogli.
C’è la voce del vecchio macellaio
a scandire il silenzio dell’attesa
“Avanti il prossimo!”,
urla alla fila dei pochi mascherati, disposti con sospetto,
fuori dal negozio,
ma lei che ancora si affaccia sul balcone
nel lieve canto degli usignoli un tratto
stende tra le rughe la pasta per il pane,
e io non so se l’ho vista davvero
o solo immaginata, ma fingo, per dolore,
oltre questo muro.
Via Pietro Maroncelli
C’è da chiedersi se anche questo scavo
bracci di gru, cataste, sagome arancioni
diventerà una forma di vetro spiroidale
come quella che preme sulla quinta,
o se un giorno sboccerà ancora una bottega
un fioraio come all’angolo di via Pietro Maroncelli
dove distratto compro una rosa gialla
nel locale sporco di terra, forbici e petali caduti.
Via Pesa del lino
Qui, un tempo, pesavano il lino
ora non lo pesano più,
ma le tegole spioventi nella foschia d’inverno
le mura screpolate tra i portici di legno
e più in là, nella parete grezza,
lo squarcio, i sassi, la radica che sale
invertono le topografie
il muschio, nell’ombra, cresce più dei fiori.
Motivazioni della Giuria
L’occhio da spia di Marco Pelliccioli, assorto fra i dettagli di una commossa osservazione della realtà, dà figura a un trittico di apparentemente concretissima vita quotidiana. Ma a legger bene, in tutte e tre le poesie, quelli che diremmo i piani sequenza girati in esterna sono preceduti da affermazioni e interrogativi che, introducendo il “quadro narrativo”, ci portano nell’io lirico con una soggettiva interiorizzante che, di fatto, sancisce l’ancoraggio del punto di vista del poeta alla scena anche mentale cui intende dare espressione. Scena che è sempre una scena agita, perciò, nello spazio-tempo compreso fra l’ingombranza del presente, la levità residua di ciò che fu e il sentimento di ciò che potrebbe ancora essere; sulla “quinta” di un theatrum mundi che è metafora della re-immaginazione poetica della storia, là dove si “invertono le topografie” e spiccano, invadenti, le “sembianze di una nuova era”.
Massimo Morasso
Marco Pelliccioli terzo classificato mentre viene premiato dal sindaco Dario Allevi
Menzione speciale a Emanuela Sica per la silloge La radice dedicata ad Isabella Morra
La radice
Nei passi notturni dei timidi sogni, rubati dalle mani della paura
io corro libera dai pesi del giorno.
Come il petalo di una violetta, il mio piè si muove leggero e non affonda.
Nel respiro si abbraccia alle amorevoli stelle, sarte di storie incantate
che mi sottraggono al dolor che m’affligge persecutore.
Mareggiano negli occhi gemme perlescenti
stupore liquefatto nel sentiero della quiete
lacrime filosofali e melodia di inerpicati sospiri.
Mi inebriano le assopite guance, le rosee carezze del primo sole
eppure avviluppata al desiderato dormiveglia
prego che Morfeo mi doni altro smarrimento e soave letizia.
Nei suoi labirinti sono l’aquila che trafigge l’opposto vento
la puledra ostinata che risale serrata la montagna
la libellula a crogiolarsi nella frescura dello stagno
la capinera melodiosa nel purpureo tramonto.
L’anima trova comoda dimora in realtà inumane
appartiene alla selvaggia vita senza padroni.
Ma il bussar feroce della realtà m’inchioda all’umido muro
nel recinto costruito dal mio stesso sangue
torno raminga e limitata al perimetro dell’infelice.
Il mio nome e il suo castigo, nel palmo della mano, scrivo a singhiozzo.
Allora Isabella appare come lucciola
esce di sotterfugio all’alba e nel piccolo specchio d’acqua
che cola dal tetto come goccia di castigo
rimira trasformata il suo profilo.
Sono io quella donna che deglutisce utopie nella bocca orfana di sorrisi
arida di buon vino e affamata di dolcezza.
Acqua putrida e arroganza ho bevuto dai calici di novelli Caini.
Legando pensieri e ricci pettino leggende e poesie senza eco
aspirazioni ricamate nella polvere
di giorni uguali alle finestre cigolanti di solitudine.
La porta chiusa a chiave, severa mi dileggia:
«Non uscirai viva a respirare il mondo»
Eppure m’ingegno nei versi a spezzar catene
a trovare vie di fughe nel bosco degli affanni.
Nella “valle inferna” nel Feudo di Favale
vissi circondata da “ruinati sassi” e odore di bieca sventura
nel contendersi Francia e Spagna il potere nel Regno.
Mio padre perduta la guerra, vincolato all’esilio in Francia
non tornerà a impedire questo calvario.
La verdicante valle s’apre nell’iride allo sbadiglio del giorno,
abitata da genti prive “di ingegno”, attraversata da un “fiume alpestre”
delle mie lacrime affamato adulatore.
Avvolta dall’appiccicosa tela della matrigna “Fortuna”
piango sino all’asfissia il mio iniquo alito di vitanella disperata contezza di non riveder il mio Signore
tornare a liberarmi dai morsi dell’oblio e dell’ingiusta morale.
II
Negli intricati rovi il mio sanguigno fiore
alza lievemente il capo alla vita che è poesia
nutrito dalla coraggiosa rugiada si lega all’umano sospiro
di un ramingo verseggiatore: Diego Sandoval De Castro.
Al suo indirizzo incido note di dolore, rassegnazione
delicata bellezza e ardimento senza macchia
rivoli di chiarore e sentinelle di grazia.
Nel tratto epistolare s’aprono le ali nel fianco
volo in notturna al riparo dai bracconieri
fin all’altezza di quella valle d’armonia e serena pace.
Librato estensore nel tratto d’inchiostro il cuor si acquieta.
È pane gustoso saper che vi è uno spirito gemello
che della poesia si ciba affamato.
Dai fili di racconti legati al nostro dialogare senza voce
le emozioni ricamano ovattate risposte d’amicizia.
Tessere una tela tra uomo e donna senz’aghi
è un’impresa da titani eppur conseguibile.
Della brillante luna, dello scirocco che muove i mari
dello spirito mutevole che anima il mondo
avemmo a conversare con animo liliale
e delle Parche che filano tesori e regni, sventure e distruzione.
Tesse l’esistenza la prima, la seconda dispensa destini
l’inesorabile terza taglia il filo e si interrompe l’essere
senza il soccorso degli Dei a mutarne il finale.
Ma nelle riposte preghiere mi avvolgo al flagello di Cristo
deposto alla barbarie del mondo sempre più feroce
da quell’amore salvifico vorrei essere benedetta
dalla Vergine anelo essere sollevata nel tribolo
i miei palmi giunti nell’eremo sudario
chiedo misericordia senza ottener replica.
Percuotono le pupille queste cascate d’affanno
mi rigano il volto e non le trattengo.
Piange la donna del Sud reietta alla felicità della cultura
che è lontana dal talamo di sventura, mio malgrado.
III
Della felicità, il sentiero soleggiato, si schiude alle tenebre.
Maligni fendenti di carne affilati d’ignoranza
le lingue del volgo disperdono onta nel mio onore.
L’ingiusta diceria di un apocrifo amplesso
decretò condanne a marziale sorte per mano della barbarica fratellanza.
Decio, Fabio e Cesare, col sangue vollero lavar la vergogna
dell’infamante quanto calunnioso disonore.
Colsero l’esile piuma e ne fecero lapide.
Macchiarono, il luminescente candore, di pece e sterpaglie.
Dissanguarono la verità per farne menzogna di decoro.
Diego era sì sposato ma l’odio verso lo spagnolo
della guerra vincitore e del Regno padrone fece il resto.
Alla dipartita delle prime foglie, orrore venne a richiamar sangue.
Ai piedi del castello strangolarono Torquato, il mio pedagogo.
Diego troverà agonia nel bosco di Noia con l’archibugio.
Madre morte mi vinse nella sala delle armi
il pugnale a recidere il bocciolo, già appassito, dallo stelo.
Ad un passo delle dighe la chiusa, nell’ultimo afflato dello scempio
<<Vi perdono…>> sussurrai e il tempo marcì col suo acerbo frutto.
Seguirono fughe e intricati inganni per salvar la pelle alle fiere.
Nessuno pagò l’orrore e la miseria di quei reati.
Eppure ogni notte io canto, scalza
libera dal rozzo cilicio che mi legò al tormento.
Nelle pieghe del tempo per le strade del borgo
rimiro quella prigione di ingiusta sepoltura
senza il corpo che mai venne alla luce.
Di me rimase la radice che nella fredda terra
un cunicolo di salvezza decise di scavare.
Lì mi presi la libertà che la malvagità depredò.
Germoglio ancora nei versi che odiai e amai in vita
nelle leggende di pellegrini e cantastorie
in quel fantasma che qualcuno mira trapassar le mura.
Nel palpito di chi mi rammenta s’ode ancora il profumo
di quel fiore che la cattiveria dell’uomo aveva reciso.
Io, Isabella, son la prova
che la vera bellezza non muore ma si rinnova.
Motivazioni della giuria
La radice, simbolo di appartenenza, principio di colleganza che muove ancoraggi e rafforza confini. La poetessa irpina Emanuela Sica, con questa sua silloge, affonda le proprie radici nella storia per giungere a Isabella Morra di cui, si dice, sia nel solco per l’antica parentela. Implora Morfeo, il dio dei sogni, affinché possa donarle “altro smarrimento e soave letizia”; si affida al sogno per diventare “l’aquila che trafigge l’opposto vento, la puledra ostinata che risale serrata la montagna, la libellula che si crogiola nella frescura dello stagno, la capinera melodiosa nel purpureo tramonto”. Ma la realtà è amara e la costringe “nel recinto costruito dal suo stesso sangue”. Sarà la poesia a stemperare il suo dolore, mentre scrive “a singhiozzo”. Nel buio le appare una lucciola: è Isabella Morra. E come Emanuela, anche Isabella, affida alla poesia il proprio dolore “mi ingegno nei versi a spezzar catene, a trovare vie di fughe nel bosco degli affanni.“ La poesia diventa, per entrambe, un punto di approdo, ci parla delle loro esistenze che si intrecciano e si fondono. E’ grande il significato che viene attribuito alla parola e al verso, risuona di profondità nella pienezza della sua significazione. Il ricordo di Isabella “rimane nella radice – che nella fredda terra un cunicolo di salvezza decise di scavare.” Vogliamo immaginare che possa germogliare “ancora nei versi.. nelle leggende dei pellegrini e cantastorie…mentre lei ogni notte canta “scalza, libera dal rozzo cilicio che la legò al tormento”.
Antonetta Carrabs
Premio alla carriera a Piero Marelli tra i finalisti in concorso con la silloge A sabbia ferma dedicata a Marina Cvetaeva
1.Cercheremo di trovarci
Cercheremo di trovarci senza misurarle troppo
le parole, chiedendo se gli sguardi accetteranno
le attese, poiché le ore non andranno tutte
allo stesso modo: questo vestito mettilo,
non lo credi importante ma io voglio riconoscerti
anche da lontano, guardarti mentre proponi al vento
una sua direzione. Non si cancelleranno le promesse
e daranno a te un calore d’alba nella stagione incapace
di reggere il confronto con i fiori. Gli anni
hanno conservato un po’ della tua voce,
ascoltano come sempre il sole in giro per il mondo,
i cari pensieri della notte che nessuna città
può da sola decidere. Una esclamazione e il silenzio
sono propensi a chiedere aiuto ad un tempo
nel fianco e senza fine che non è solo di donna,
cercandoli dove si possono trovare, nascondigli,
rotaie, rami che non stanno mai fermi… la cenere
di una sigaretta sicura del suo aspetto
minime cose della riuscita,
altri posti ormai se di quei volti ti sei impadronita
fedele a tuo modo come un’altra maniera del dimenticare:
e non c’è niente al mondo dopo avere messo
una mano sulla bocca e già Mosca Berlino Praga Parigi
con tutta la condizione delle periferie nelle loro strade
di difficile riconoscenza dove anche l’erba
dei marciapiedi vuole nascere, rivelandosi nella favola
dove tutti i ragazzi sono principi destinati a restare
per sempre giovani e tutte le ragazze cantano
la canzone dell’amore indovinato… Questo alberi
destinati a proteggerci, queste strade che continuando
hanno segnato la nostra fortuna, queste nuvole,
quando la loro ombra si è interposta
tra noi abbracciandoci, come possiamo accettarle?
Questa storia dovevi riconoscere e trascurare quell’altra
buona per raccontare l’invidia dei menestrelli
o i racconti da tenere sottobanco che hanno fatto
il privilegio delle tue contrade? Le distese nientemeno dette infinite,
i boschi che anch’io ho voluto conoscere
e qualcosa d’altro a cui demandare
la cadenza dei tempi verbali, il diritto degli abeti ad essere
onorati con sole occhiate mentre il vento nuota
sulle loro cime, quelle aperte mani che taccandoli
ne hanno fatto cattedrali, hanno chiesto se è ancora
possibile sezionare gli anni dopo averli accumulati in solitudine,
per dimostrare ai torturatori dialettici
tutta la fame della giovinezza e non l’abilità
del distinguere a pancia piena, mettendo lì
come risposta una tavola di preferenza non imbandita.
2. Il colore delle facce
Il colore delle facce sotto la lampada
ha una sua conclusione, per se stessi o per qualche rivelazione
inconsueta, anche il cortile a finestre chiuse aspetta
il giorno per convincere l’andata delle ore
o le apparizioni di quelli che sono riusciti a restare
per troppa o poca età, ripensando il colore del fuoco
della sera precedente, quando l’agenda
è stata riempita dimenticando il chiarore lunare
o le minuscole catastrofi degli occhi rovesciati.
Per sottostare allora al vocio dei riconoscimenti,
affidare il panorama alle trame dell’arcobaleno,
perdere o ignorare il diverso andare del fumo
del camino… D’altronde cosa si potrebbe chiedere
alla confusa prudenza dell’inizio o ad ogni parola
del vocabolario in doverosa attitudine a definirsi
solamente dopo avere accettato come causa naturale
anche la più piccola imperfezione del ricamo
o la leggera macchia al centro della tovaglia:
per tutto questo comincia oppure continua ostinata
la modifica dei generi totalmente disarmati,
coniugandoli non solo al maschile e al femminile
se potranno tornare ad essere un esercizio di possibilità,
quella strana maniera d’intendere il paradiso
scordando per un po’ il gioco dell’inferno che batte allegro
dentro le nostre teste, in questa commedia
destinata ad esaurirsi per consuetudine, come luna
all’ultimo quarto, caduta in una sua imperfezione
perché troppo amata. Questa, non offenderti,
è la nostra eredità, lasciata a repentaglio
nei campi guardati a spaccacuore, per destinarla
a qualche posto che reclama il ritorno.
Ma non ci sonoche questi campi posati e di prossimo fango,
non sarà facile sostituirli con la richiesta
di un braccio appoggiato sulla spalla
o con una penna abbandonata sul tavolo: l’amore e il lutto
erano un po’ di capelli nel portafoglio,
quello che si voleva dire, fogli sparsi dappertutto,
il tempo un foglio bruciacchiato a consumarsi
nel portacenere. Là, dove ogni spaesante bugia si riscatta,
sottoposta alla dimostrazione dell’orologio al contrario
a mettere insieme l’esemplare disinteresse
delle ombre del giardino con la simpatia
del muro da dove sono nate… là, dove le lingue
si sovrappongono, chi non arrossirebbe alla domanda
del sasso, alla risposta delle foglie? Della risata
nascosta dietro il cespuglio, permettendosi
un’apparizione a seconda del vento, la minima
ma perentoria richiesta a cosa ci porteranno gli anni.
3. Come risponderti
Come risponderti, quando incontrandoti in disparte,
aspettavi una spiegazione a braccia conserte…
se aiutata dalla naturale confidenza della sera,
cercavi qualcosa di simile agli occhi
del non dire, dicendoti nata per osservare le opere
della primavera, cresciuta rispondendo all’appello
delle ore senza battiti, assolta da un sole pieno,
sfiduciando la rosa capace unicamente
di ripetere se stessa per molti anni
e per niente convinta a dare troppa importanza alla gioia…
“Io ho qualche attesa infantile, un sonno
troppo leggero, volentieri abbandonerò questi occhi
quando li avrò allontanati dalle grandi occupazioni
della memoria, tagliati con un gesto preciso,
ritrovando contenta una scatola di fiammiferi buona
per qualche occasione di buio o per lo meno
per qualche necessità di calore…
Giacché io sono nata fuori tempo!, lascerò
Una leggera condanna alle mie ore,
prediletta da quelli che inseguono l’insonnia
dei grandi campi procurati dall’estate…
Gli darò la tenerezza del cucciolo, la parrucca
sempre nel vento del grano… Approfittando
di questi luoghi dove le loro teste hanno nutrito
città catastrofiche, cercando tutta la vita
uno specchio, lasciandolo aperto alle mie consuetudini,
rispondendo da severa innamorata che il cadere
della neve addolcisce, ragazza interrotta,
opera del sale e del pane lasciato a lievitare,
a disposizione delle quattro canzoni della terra
invece che soltanto del mio imprevedibile diletto
che racconterà ancora una volta del mai fosse stato
mentre l’entusiasmante luce del mattino si sveglia
sopra l’acqua, ritrovandomi quando tutti i nomi
se ne sono andati e il mio calendario gentiluomo
mette lì tutti i suoi averi, proclamando con mille ragioni
i miei torti e le mie repliche, io che esisto soltanto
per non andare rassegnata, lasciandomi la colpa
di una doppia sagoma in controluce
autorizzata da un’unica clessidra misurata a sabbia ferma”.
Piero Marelli mentre riceve da Elisabetta Motta il premio alla carriera
Premio a Guido Oldani per commemorare i dieci anni di presidenza onoraria
Sezione studenti – Testo poetico inedito in lingua italiana
1^ classificato: Anna Milesi con i testi La porta, Nostalgia, Inverno
La porta
Resto immobile
con la voglia di bussare
a quel ritaglio di cielo
incastonato tra due muri
di cemento
sperando di sentire una risposta
alla mia mano
e nell’attesa
il desiderio di un amore
tra il grigio e il cobalto
Nostalgia
Le tre e ancora sono a scuola
fuori piove
il gelo dalle finestre è nostalgia
di quella vita che doveva sbocciare,
di questa che ora è un seme
nuovo o tornato bambino.
Non c’è il fiore e forse non è mai nato
ma resta la nostalgia,
il rosa accartocciato nel verde
Inverno
Ora in pullman mi rendo conto:
il passato è sparito tagliando
i fili intrecciati,
tessuto della mia realtà.
Tutto è rimasto come l’ho lasciato:
la strada, il viale alberato,
i corridoi e le aule.
Anche loro: gioia e sorpresa,
forse invidia in qualcuno.
Questa volta sono io.
Lascio indietro le sofferenze;
scopro, nonostante tutto, l’amore.
È il ricordo del mio inverno,
il pullman che mi riporta
in primavera.
Motivazioni della giuria
Gioca con il pennello delle parole, questa giovane autrice, per dipingere con immediatezza quadri del suo vissuto e colorare le sue intense emozioni . E mentre sfilano davanti agli occhi ricordi di un anno scolastico bruscamente interrotto, (il viale alberato, i corridoi, le aule, i compagni che si muovono tra dinamiche complesse: stupore, gioia, invidia), lo scontro fra il proprio vissuto e la realtà non può che provocare nostalgia per «quella vita che doveva sbocciare». Ma non è l’inverno del cuore a prevalere: l’autrice che sa abitare l’attesa «resta immobile / con la voglia di bussare/ a quel ritaglio di cielo», apre il cuore alla speranza e al desiderio di un amore, in attesa di risalire su quel pullmann che la riporti in primavera.
Elisabetta Motta
2^ classificato: Noemi Lorefice con i testi Leggeri sull’erba, Zayd al-Qaysiya,
Leggeri sull’erba
Vorrei tornare indietro,
a un anno fa,
quando leggeri sull’erba
bisbigliavamo Pasolini e Pavese
e più sommessamente una poetessa antica
e suonavamo quelle corde
e alcuni di noi ridevano, altri già sonnecchiavano
cullati dalle voci dei bambini giocosi e dalla brezza d’estate
mentre adesso le stagioni scorrono
ma resta fermo il tempo, come
negli orologi molli sul libro di italiano che
non avremmo più riaperto assieme.
Zayd al-Qaysiya
Ho visto tredici estati e
una primavera in più, trascorsa
nel campo di un luogo diviso,
occupato,
insieme con quattro ragazzi,
feriti nella stessa mattina in cui un grilletto
alla mia fronte
mi ha impedito di vedere la quattordicesima estate
qui ad al-Fawwar.
Motivazioni delle giuria
Una poesia matura, che affronta temi preminenti, quella di Noemi: come lo scorrere del tempo, la morte, la vita che all’improvviso cambia, che tragicamente talvolta finisce.
In un gioco abile di parole, il tempo, resta sospeso in un afflato nostalgico. Si avverte la voglia di sostare nella propria giovinezza: “ma resta fermo il tempo, come negli orologi molli su libro di italiano che/ non avremmo più riaperto assieme”.
Emerge la capacità di leggere gli eventi, con decisa analisi descrittiva: “in cui un grilletto/ alla mia fronte/ mi ha impedito di vedere la quattordicesima estate”. La poetessa non trattiene la penna, con vivide immagini, mira dritta al petto del lettore, per provocare i suoi pensieri.
3^classificato ex equo: Giacomo Zilioli con i testi Il cielo, Mortali? Come può un fiore appassire per amore?
Il cielo
Mai il mio sguardo penetrò l’apparenza del Cielo,
Nonostante la mia inconscia tendenza a volgergli gli occhi
Rinnovi sempre in me l’immanente canto
Dell’eterno fragile sentiero umano.
O Cielo, candida illusione dello spazio siderale,
Che rivoluzioni il mondo secondo ciò che provi,
Come noi uomini dipendi dai tuoi sentimenti
E trascorri la notte in attesa del Sole.
Ma tu sei più di un eterno sognatore,
E sei di più di un lunatico compagno
E sei di più del Sole che ti brucia in cuore.
Sei il nulla che contiene l’immenso
Sei l’illusione concreta che nasconde una realtà astratta.
Sei l’umano che sono Io e l’infinito che porta dentro.
Mortali?
Nascere
Chiedi a te stesso di immaginare un colore inesistente.
Chiedi a te stesso di indovinare la meta delle stelle.
Sorridi a te stesso quando troverai la risposta in uno specchio.
Vivere
Corri in strada e cogli il colore unico del volto passante,
Quel colore che prima non esisteva ed ora è lì davanti a te.
Sorridi a te stesso quando troverai la risposta sotto un lampione.
Morire
Spesso sarai in guerra, ti sentirai in trappola, vedrai solo l’oscurità.
Spesso non saprai cosa fare e avrai paura di vivere e avrai paura di morire.
E rantolerai giù fino in fondo agli inferi dove vita e morte si confondono.
Nascere e vivere e morire
Ricorda a te stesso il colore che sei stato, urla a quelle stelle la tua meta.
Solo di due cose puoi essere certo: di nascere e di morire, sei un mortale.
E un mortale senza paura può nascere mille volte e morirne una sola.
Come può un fiore appassire per Amore?
Trovi un senso all’operare del mondo?
Lo capisci davvero fino in fondo?
Tutto è sincronizzato al battito del cuore,
e allora come può un fiore appassire per Amore?
Senti questo suono irregolare?
È un cuore fuori tempo,
che da solo non può più restare.
È il cuore che sento dentro.
Un cuore innamorato batte in un’altra dimensione,
brucia come mille soli e annebbia la ragione.
Finisce così quando un cuore si divide a metà,
un frammento tramonta mentre l’altro sboccerà
Dammi una buona motivazione che possa spegnere tutto questo,
perché adesso io resto, fino alla fine ti starò accanto.
Non c’è giustificazione per chi si arrende al rimpianto.
Come può un fiore appassire per Amore?
Motivazioni della giuria
Un approccio filosofico ed esistenziale nella poetica di Zilioli. Una visione eroica della vita, di chi ha la certezza dell’ineluttabilità delle cose, ma che proprio per questo vanno affrontate e vissute con determinazione, nel rispetto degli eventi che si susseguono e plasmano il nostro divenire.
“E un mortale senza paura può nascere mille volte e morirne una sola”.
Un senso di certezza consolatoria, dove la morte non spaventa. Nei suoi versi troviamo la capacità di rispecchiarsi, identificarsi, nell’infinito: “O Cielo…/ sei il nulla che contiene l’immenso/ sei l’umano che sono Io e l’infinito che porta dentro”. Metafore costruite meticolosamente, dove dimorano le complesse domande della nostra esistenza.
Iride Enza Funari
3^classificato ex equo: Fosca Beghetto con La mia tristezza fa rumore
La mia tristezza fa rumore
La mia tristezza fa rumore
mi hanno sempre detto che
la tristezza è silenziosa.
Si appoggia al cuore come un velo,
senza fare rumore.
Quello che posso dire io
è che la mia tristezza
fa un rumore spaventoso.
Quando si avvicina tremano i muri
e la sento pesante, camminare verso di me.
Non capisco come la tristezza possa essere silenziosa
quasi anche leggera
quando solo a pensarci
mi si appesantisce il cuore.
Motivazioni della giuria
Il testo ci offre una personale riflessione sul tema della tristezza, nata dal bisogno profondo di introspezione e al tempo stesso di esternazione della propria sofferenza. Le immagini delicate e il linguaggio emozionale e sensorio conducono per mano il lettore rendendolo partecipe e in grado di riconoscere la tristezza “rumorosa” di cui l’autrice ci parla. Forse proprio il bisogno di alleggerire la pesantezza del cuore e la mente affollata da troppi pensieri, inducono l’autrice a ricercare la levità poetica come segno caratterizzante della sua scrittura.
Elisabetta Motta
Sezione detenuti – Testo poetico inedito in lingua italiana
1^ classificato con il testo Sono come un albero
Sono come un albero
ma a niente vale la mia crescita
non posso fare ombra a nessuno
I miei pensieri sono fuggitivi
adesso ci sono
dopo non so
mi sento immobile
sono pesante come pietra
per chi mi porta acqua per farmi crescere
Mi sento immobile e abbandonato
sono sospeso a metà
nessuno accanto
Eppure sono innamorato del sole
perche mi dice quando è sera
o quando arriverà la pioggia
come un gallo il sole mi fa sentire vivo
e capace
di tutto ciò che posso
ma sono qui
con la mia rabbia
e i miei pensieri
Motivazioni della giuria
Il poeta è allegoria della stessa natura che irrompe nei suoi versi: “Sono come un albero”. E’ l’albero che domina la scena: del suo sconforto, della sua inadeguatezza, di fronte ai fatti della vita, della sua solitudine.
“Mi sento immobile e abbandonato/ sono sospeso a metà/ nessuno accanto”.
Quella stessa natura diventa per un momento elemento consolatorio: “Come un gallo il sole mi fa sentire vivo/ e capace/ di tutto ciò che posso”.
Ci prende per mano e ci conduce in un viaggio interiore, ci svela il suo stato d’animo, combattuto tra bisogno di placarsi e quello di trovare risposte ai pensieri pressanti: “ma sono qui/ con la mia rabbia/ e i miei pensieri”.
2^ classificato con il testo Nonna per sempre
Nonna per sempre
Quante volte nonna di dicevi
stai attento e prima di attraversare devi guardare
nonna, mi chiamavi per il piatto caldo
che mi stava ad aspettare
Tante volte non mi presentavo e so che sbagliavo
ma nel cuore mi è rimasto come il tatu
che ho sul collo una cicatrice che rimane
ora che non ci sei più
devo andare avanti lentamente
con i tuoi giusti consigli
per farmi una idea sulla gente
Nonna ti ricordi quanto ridevamo
e mi tenevi tra le braccia
dicendomi “Amore questo è un altro abbraccio”
Motivazioni della giuria
La poesia dipinge un nostalgico e profondo affetto per una figura che per molti resta una tra le più care. Versi semplici, dedicati alla nonna, che vanno dritti al cuore e smuovono ricordi. La figura emerge attraverso la descrizione di gesti e consuetudini di un quotidiano che si è trasformato in vuoto incolmabile, ma che ha saputo lasciare dentro tracce indelebili e di grande conforto. “Ma nel cuore mi è rimasto come il tatu/ che ho sul collo, una cicatrice che rimane” e da questi ricordi, il poeta, trae la forza per continuare ad andare avanti.
3^classificato ex equo con il testo Fiorir a nuova vita
Fiorir a nuova vita
Ho cancellato le ombre del passato
rovistando tutti i cassetti della mia memoria.
niente più ormai attanaglia il mio essere di oscura tristezza.
L’intimità si riveste di armonia serena
onorando tutto il bene e l’amore che l’altrui mi ha donato
germoglia a nuova vita la mia esistenza
come un’amorevole orchidea dentro il desolato abbandono
del pianto di un giardino.
Motivazioni della giuria
Ripartire, scommettendo di nuovo sulla vita, cancellando le ombre del passato,
ringraziare per tutto il bene ricevuto in dono: sono queste le motivazioni che spingono l’autore a modulare il suo canto all’insegna di un’armonia che possa guidare i suoi versi e che diventi un segno di riconciliazione con il mondo. Ciò che conta alla fine è solo questo: che il dolore possa essere condiviso e possa rifiorire il seme di una bellezza più alta, simboleggiata dall’orchidea che fiorisce «dentro il desolato abbandono / del pianto di un giardino».
3^classificato ex equo con il testo Ci sono sogni
Ci sono sogni
Ci sono sogni
che non basta
la notte per sognarli
che non esiste un giorno
per viverli
e che la tua mente non riesce a pensare
e non sono nel cuore
vivono e spendono
nelle lacrime
e nel sorriso
Motivazioni della giuria
Pochi versi per esprimere una concentrazione di sofferenza (resa manifesta dalle lacrime) e di gioia (esternata nel sorriso) segnano l’alternarsi di emozioni nell’animo del protagonista che, solo nella dismisura dei sogni, trova un perno su cui far leva per “resistere” e proseguire il suo viaggio.